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Regime forfetario: subito in vigore nuovi adempimenti e regime premiale

Le novità

Il legislatore ha previsto di fatto quattro novità normative meritevoli di approfondimento in tema di regime forfetario:

  • ai fini dell’accesso, la reintroduzione del limite di spesa con riferimento al personale dipendente;
  • il ripristino dell’esclusione dal regime per coloro che percepiscono un reddito di lavoro dipendente o assimilato di ammontare superiore a 30.000 euro;
  • un regime premiale per chi emette la fattura elettronica;
  • la concorrenza del reddito forfetario ai fini del calcolo delle detrazioni e deduzioni.

Il limite di spesa per il personale dipendente

Si ricorda che il regime forfetario si applica ai contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni se, al contempo, nell’anno precedente:

  1. hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000 (requisito invariato rispetto all’anno precedente);
  2. hanno sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore ad euro 20.000 lordi per lavoro accessorio di cui all’articolo 70 del Dlgs 10 settembre 2003, n. 276 (anche lavoro occasionale), per lavoratori dipendenti e per collaboratori di cui all’articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del Tuir (collaborazione coordinata e continuativa), anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto ai sensi degli articoli 61 e seguenti del citato decreto legislativo n. 276 del 2003, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all’articolo 53, comma 2, lettera c), e le spese per prestazioni di lavoro dei familiari di cui all’articolo 60 del Tuir.

Quindi, a decorrere dal 2020, potranno accedere al regime forfetario i contribuenti che, nell’anno precedente oltre a non avere superato la soglia di 65.000 euro a titolo di ricavi/compensi, hanno sostenuto spese per i propri lavoratori dipendenti e assimilati non superiore a 20.000 euro.

Si ricorda che fino al 31 dicembre 2018, la lettera b) del comma 54 (soppressa dal 1° gennaio 2019) già prevedeva questo requisito di accesso, ma il limite di spesa era pari ad euro 5.000. Nel reintrodurre il limite di spesa, la norma lo eleva a 20.000 euro.

I requisiti di accesso devono essere verificati con riferimento all’anno precedente; pertanto, nell’anno 2020 potranno accedere o permanere nel regime forfetario i contribuenti che nell’anno 2019 hanno rispettato i predetti requisiti.

Il possesso di redditi di pensione

La lettera d) del comma 692 della legge di Bilancio 2020 introduce la lettera d-ter) al comma 57 della legge 190/2014 la quale prevede l’esclusione dal regime forfettario dei soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (articolo 49 e 50 del Tuir) eccedenti l’importo di 30.000 euro (si deve intendere al lordo delle ritenute a carico del dipendente).

Si tratta di tutti i compensi assimilati al lavoro dipendente quali ad esempio l’incarico di amministratore di società, l’assegno ricevuto dal coniuge in forza di separazione o l’indennità di un amministratore pubblico.

La norma precisa anche la verifica di tale requisito non è necessaria nel caso in cui il lavoro sia cessato.

L’importo di 30.000 non sembra ragguagliato ad anno. Se ad esempio un soggetto ha percepito la pensione dal mese di settembre di 5.000 euro al mese, totale 20.000 euro, può accedere almeno per l’anno 2020 al regime forfetario, però secondo l’agenzia delle Entrate si deve sommare l’eventuale reddito da lavoro dipendente percepito nel medesimo anno.

Tale causa di esclusione era stata inizialmente introdotta con decorrenza 1° gennaio 2016 dalla legge 208/2015 e poi abrogata, dal 1° gennaio 2019 dalla legge 145/2018; considerato che la formulazione della norma ora reinserita è identica al passato, devono ritenersi applicabili i chiarimenti già forniti dall’agenzia delle Entrate.

In particolare, con la circolare 10E/2016, l’Agenzia aveva precisato che, ai fini della non applicabilità della causa di esclusione, rilevano solo le cessazioni del rapporto di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario.

Il limite, invece, va considerato nel caso in cui, pur avendo cessato il lavoro nell’anno precedente, sia intervenuta una delle seguenti due situazioni:

  • sia stato percepito un reddito di pensione che, in quanto assimilato al reddito di lavoro dipendente, assume rilievo, anche autonomo, ai fini del raggiungimento della citata soglia di 30.000 euro;
  • il contribuente abbia intrapreso un nuovo lavoro ancora in essere al 31 dicembre.

Si ricorda che la legge di Bilancio 2019, oltre ad abrogare la causa di esclusione ora reinserita, ha anche previsto l’esclusione dal regime per le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi nei due precedenti periodi d’imposta, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro, ad esclusione dei soggetti che iniziano una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni.

Tale previsione non è stata abrogata; pertanto, con riferimento all’attività di lavoro dipendente eventualmente esercitata dovranno essere verificati entrambi i requisiti.

Tuttavia, mentre il limite dei 30.000 euro deve essere verificato con riferimento all’anno precedente, la condizione di prevalenza deve essere verificata con riferimento all’anno di applicazione del regime stesso e gli effetti decorrono dall’anno successivo.

Il concorso del reddito per le detrazioni

Altra norma innovativa per i contribuenti forfetari riguarda il concorso del reddito prodotto in regime forfetario (quadro LM della dichiarazione dei redditi) nell’ammontare del reddito complessivo ai fini del la spettanza o per la determinazione delle deduzioni, detrazioni o benefici anche non tributari.

La precisazione è giustificata dal fatto che il reddito in forfait non viene riportato nel quadro “RN” della dichiarazione dei redditi e quindi sfuggiva dal calcolo del reddito.

La norma precedente si limitava a considerare il reddito prodotto in regime forfetario ai fini della spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia, ma non ad esempio per le detrazioni spettanti ai titolari di redditi di lavoro. Ora tuttavia il reddito viene considerato per qualsiasi agevolazione anche non fiscale.

Ad esempio per determinare l’ammontare delle tasse universitarie o la retta dell’asilo nido.

I dubbi che permangono

Sulle nuove causa di esclusione e requisito di accesso, non mancano altri dubbi interpretativi.

Infatti il comma 57, lettera d-ter della legge 190/2014 dispone che non possono accedere al regime forfetario «i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati […], eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato».

Sul punto, la circolare 10/E/2016, al paragrafo 2.1 dispone che tale limite non opera se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nel corso dell’anno precedente, sempre che nel medesimo anno non sia stato percepito un reddito di pensione che, in quanto assimilato al reddito di lavoro dipendente, assume rilievo, anche autonomo, ai fini del raggiungimento della citata soglia.

La circolare va ben oltre il dettato legislativo. La norma invece può essere interpretata nel senso che quando il rapporto di lavoro è cessato, non lo si considera comunque ed il contribuente è libero di entrare nel regime forfetario.

Si ipotizzi il caso di un lavoratore dipendente che nel gennaio 2020 ha cessato il rapporto di lavoro per il quale aveva percepito nel 2019, un reddito di 35.000; se nel 2020 inizia una attività di lavoro autonomo, prevedendo di non superare il limite di compensi di 65.000 euro, secondo la circolare della Agenzia non può adottare il regime forfetario perché nell’anno precedente ha avuto un reddito di lavoro superiore a 30.000 euro e quindi dovrebbe applicare nel 2020 il regime semplificato e solo nel 2021 entrare il regime forfetario.

Veramente una conclusione incomprensibile.

Altra questione riguarda l’incompatibilità del regime forfetario con la partecipazione in società di persone.

La circolare 9/2019 dell’Agenzia precisa che la causa ostativa non opera solo a condizione che il contribuente nell’anno precedente a quello di applicazione del regime stesso provveda preventivamente a rimuoverla.

Ma se il contribuente cede la partecipazione nel gennaio 2020 non si vede perché successivamente non possa aprire la partita Iva ed applicare il regime forfetario.

Non ci sarebbe la contemporaneità e questo secondo la precedente circolare 10/E/2016 dell’Agenzia consentirebbe il regime forfetario.

Poi vi è il caso del contribuente che al 1° gennaio 2020 parte libero da partecipazioni in società di persone ma poi ne acquisisce una.

Se ciò avviene involontariamente (successione o donazione) come confermato dalla Agenzia a Telefisco 2020, il regime forfetario può essere applicato in corso d’anno e l’uscita avverrebbe dall’anno successivo se nel frattempo la partecipazione non venga ceduta.

Si pone il problema se in corso d’anno il contribuente in forfait acquisisce una partecipazione in società di persone o in una associazione professionale.

Anche in questo caso dovrebbe essere consentito al contribuente di liberarsi della partecipazione nel corso dell’anno e solo in caso contrario si verificherebbe la perdita del regime dall’anno successivo (legge 190/2014, comma 721).

Ancora dubbi sussistono per i soggetti che nel corso dell’anno 2019 hanno applicato il regime ordinario previsto per l’esercizio di arti e professioni ed ora avendo i requisiti per applicare il regime forfetario vorrebbero rientravi. La questione che si pone è che tali soggetti sono vincolati per un triennio al precedente regime in quanto lo hanno scelto pur avendo allora i requisiti per il forfait (Dpr 442/1997).

L’agenzia delle Entrate con la risposta ad un interpello 107/2019, in presenza di un professionista ha riconosciuto la possibilità di uscire prima del triennio, solo perché dal 2019 era intervenuta una modifica normativa al regime forfetario.

Gli effetti delle modifiche al regime forfetario

Si era discusso se le modifiche al regime forfetario potessero slittare al periodo di imposta 2021 per effetto delle disposizioni sullo Statuto del contribuente, il quale dispone che nessun adempimento può essere introdotto a carico dei contribuenti prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della norma.

Al riguardo l’agenzia delle Entrate con la risoluzione 7 dell’11 febbraio 2020 conferma che gli effetti delle modifiche normative relative ai contribuenti forfetari decorrono dal 1° gennaio 2020.

Tuttavia non è condivisibile l’affermazione contenuta in tale documento di prassi secondo la quale i soggetti che perdono il forfait non hanno nuovi obblighi contabili a cui adempiere. In effetti questo non è vero in quanto gli ex forfetari devono quanto meno organizzare l’emissione della fatturazione elettronica che non è proprio niente.

Il regime premiale

Nel presupposto che i soggetti che operano in regime forfetario non hanno l’obbligo di emettere la fattura elettronica, la lettera f) del comma 692 introduce, un regime premiale, volto a incentivare l’utilizzazione della fattura elettronica.

Viene aggiunto un periodo nel comma 74 della legge 190/2014, che prevede che per i contribuenti che si avvalgono del regime forfettario e che hanno un fatturato annuo costituito esclusivamente da fatture elettroniche, il termine di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento è ridotto di un anno; la decadenza è quindi di quattro anni rispetto ai vigenti cinque.

L’articolo 1, comma 3, del Dlgs 5 agosto del 2015, n. 127, in materia di fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle fatture o dei relativi dati, esonera dall’obbligo i soggetti passivi che applicano il regime forfettario; nel caso in cui i contribuenti decidano di emettere le fatture in formato elettronico si ricorda che sono obbligati anche alla conservazione sostitutiva delle stesse.

Il regime premiale dovrebbe essere esteso al caso in cui ci sia anche la vendita al minuto documentata dallo scontrino elettronico.

I contribuenti in regime forfetario infatti non sono esonerati dalla emissione dello scontrino fiscale e quindi dalla memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi.

Nel corso della manifestazione Telefisco, l’Agenzia ha confermato che questi contribuenti, sussistendo le condizioni possono sostituite lo scontrino fiscale telematico con la fattura anche non elettronica.

Gli adempimenti

I contribuenti che dal 2020 perdono il regime forfetario per prima cosa devono applicare l’Iva sulle cessioni di beni e prestazioni di servizi e di questo è necessario avvertire i propri clienti che erano abituati a non pagarla. In presenza di rapporti preesistenti si deve precisare che il compenso eventualmente già concordato sarà maggiorato dell’imposta.

Se a fronte della prestazione di servizio o cessione di beni la fattura è stata emessa nel 2019 ovviamente senza Iva, ancorché venga pagata nel 2020, l’imposta non deve essere aggiunta o scorporata in quanto l’operazione si intende effettuata lo scorso anno.

Quindi gli ex forfetari devono dotarsi del codice univoco al fine di poter emettere la fattura elettronica (sono esclusi solo i medici).

Inoltre è loro facoltà (ma assai opportuno), trasmettere alla agenzia delle Entrate in  via telematica la procura eventualmente rilasciata a favore di un intermediario per i servizi telematici offerti dalla agenzia delle Entrate (consultazione, conservazione fatture elettroniche, ecc.).

Quindi questi contribuenti devono impostare la contabilità Iva costituita dal registro delle fatture emesse e degli acquisti per la registrazione delle relative fatture.

Inoltre dovranno effettuare le liquidazioni periodiche dell’Iva, la prima mensile entro il 16 febbraio a  meno che optino per la liquidazione trimestrale entro il 16 maggio se il volume di affari risulta non superiore ai limiti previsti dall’articolo 7 del Dpr 542/1999.

Devono altresì trasmettere trimestralmente lo spesometro se effettuano operazioni con l’estero diverse da quelle risultanti dalle bollette doganali.

Da quest’anno l’ex forfetario dovrà poi subire la ritenuta d’acconto sui compensi professionali o per le intermediazioni, come pure deve applicare la ritenuta qualora sia lo stesso ad erogare i medesimi compensi.

Per le fatture emesse nel 2019 e non pagate, a fronte di prestazioni professionali per le quali il professionista aveva dichiarato che il compenso non era oggetto a ritenuta d’acconto, occorre comunicare al committente la perdita del regime, affinché egli operi la ritenuta, in quanto tale compenso concorrerà a formare il reddito imponibile nel 2020 quando il percepente non è più in regime forfetario (comma 72, legge 190/2014).

Infatti per i ricavi e compensi maturati nel 2019 e non ancora incassati si prospetta una tassazione sfavorevole in quanto la norma dispone che in caso di passaggio dal regime forfetario a quello ordinario, i ricavi e compensi maturati nel 2019 che verranno incassati nel 2020, saranno sottoposti al regime del periodo di imposta in cui si manifestano e quindi quello dell’ incasso; la norma precisa altresì che le spese sostenute nel periodo di applicazione del regime forfetario non sono deducibili.

Quindi non è possibile imputare tali proventi nell’ultimo periodo in cui si è applicato il forfait come aveva invece stabilito l’Agenzia con circolare 17/2012 per il regime dei minimi.

A favore dell’ex forfetario invece scatta la rettifica della detrazione ai fini dell’Iva.

Quindi per gli acquisti di beni strumentali effettuati negli ultimi cinque anni (dieci per gli immobili) c’è il diritto alla detrazione nella misura di tanti quinti o decimi non ancora maturati al 1 gennaio 2020; inoltre spetta il recupero dell’Iva sulle rimanenze di merci in giacenza ad inizio anno 2020 procedendo all’inventario ed alla valorizzazione dei beni in base ai prezzi delle fatture più recenti (Fifo) nonché per i servizi non ancora utilizzati.

Ci saranno casi in cui si deve fare la rettifica della rettifica per chi ad esempio è entrato nel forfait lo scorso anno ad ha versato i quinti dell’Iva sui beni strumentali ed ora li recupera meno un quinto relativo al 2019.

In ordine al momento di effettuazione della rettifica l’articolo 19-bis del Dpr 633/72 ed il comma 61 della legge 190/2014, dispongono che essa deve essere fatta in sede di dichiarazione Iva.

Tuttavia  in caso di mutamento del regime come nella fattispecie in esame, si ritiene che il credito Iva possa essere utilizzato già in sede di liquidazione periodica (risoluzione ministeriale n. 10/E del 2 febbraio 1999).

Le cessioni nei confronti dei privati

I contribuenti in regime forfetario hanno l’obbligo della memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi, ma in alternativa possono emettere la fattura che può anche non essere elettronica.

La conferma viene dall’agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2020.

Anche i contribuenti in regime forfetario, e cioè le persone fisiche che nell’anno 2019 hanno conseguito ricavi e compensi di ammontare non superiore a 65.000 euro, hanno l’obbligo della certificazione dei corrispettivi secondo le modalità di cui all’articolo 2 del Dlgs 127/2015.

Pertanto devono dotarsi di un registratore telematico che provveda alla memorizzazione dei corrispettivi ed all’invio dei dati alla agenzia delle Entrate.

Questo obbligo sussiste per le attività di cui all’articolo 22 del decreto Iva e cioè la vendita al minuto in locali aperti al pubblico, somministrazione di alimenti e bevande e le prestazioni di servizi in locali aperti al pubblico (esempio il parrucchiere) o nella abitazione del cliente (esempio il falegname).

A seguito della introduzione dello scontrino telematico le due sole modalità di certificazione dei corrispettivi sono lo scontrino telematico e la fattura elettronica.

Quindi se il commerciante al minuto cede i propri beni od effettua i servizi nei confronti di un imprenditore o di un soggetto Iva, deve emettere la fattura, mentre invece se è un privato emette lo scontrino telematico fatta eccezione del caso in cui il cliente richieda la fattura.

Lo scontrino telematico che viaggia via web viene materializzato dal documento commerciale che viene consegnato al cliente.

Questo documento  necessario per il cliente per dimostrare la spesa, per la detrazione fiscale se si tratta di medicinali, per usufruire della garanzia se il bene acquistato lo necessita e per partecipare alla lotteria degli scontrini (agenzia delle Entrate circolare  3/2020).

Siccome i corrispettivi possono essere certificati da fattura o da scontrino memorizzato, in presenza di prestazioni in locali aperti al pubblico oppure nella abitazione del cliente effettuate da un contribuente in regime forfetario, la procedura di memorizzazione dello scontrino può essere sostituita dalla fattura che per un forfetario è costituita da un documento cartaceo semplice con marca da bollo da due euro se supera l’importo di 77,47 euro.

Infatti la agenzia delle Entrate conferma che per escludere l’emissione dello scontrino telematico il cedente/prestatore in regime forfetario può emettere una fattura immediata oppure entro il dodicesimo giorno successivo alla effettuazione della operazione in formato elettronico o cartaceo essendo ancora normativamente ammesso.

Tale possibilità riguarda appunto i contribuenti che operano nel regime forfetario oppure che applicano il regime di vantaggio (dei minimi) di cui al Dl 98/2011.

La conclusione della Agenzia conferma pertanto che un soggetto in regime forfetario che effettua poche operazioni giornalmente soggette allo scontrino elettronico (come nel caso degli artigiani) può non dotarsi del registratore telematico ed emettere le fatture cartacee non essendo obbligato alla fatturazione elettronica.

L’incompatibilità con la partecipazione in società

Società di persone

La partecipazione di qualsiasi entità in una società di persone non consente l’applicazione del regime forfetario.

Questa causa ostativa, prevista dalla lettera d) del comma 57 della legge 190/2014 è stata modificata a decorrere dal 2019 con l’aggiunta, nel testo, delle imprese familiari.

Sebbene il testo di legge non abbia subito sostanziali modifiche, i chiarimenti dell’agenzia delle Entrate sono stati differenti.

Infatti, la circolare 9/E del 2019, ha chiarito che la nuova formulazione della lettera d), in virtù della ratio della norma volta ad evitare artificiosi frazionamenti delle attività d’impresa o di lavoro autonomo svolte, va interpretata nel senso che la causa ostativa non opera solo a condizione che il contribuente, nell’anno precedente a quello di applicazione del regime stesso, provveda preventivamente a rimuoverla.

Ciò significa che il contribuente che intenda applicare il regime forfetario e che possiede una partecipazione in società di persone, deve accertarsi che la partecipazione venga ceduta entro l’anno precedente.

Dai chiarimenti resi dall’agenzia delle Entrate, non è più ammessa la possibilità di cedere la partecipazione in corso d’anno al fine di poter comunque beneficiare del regime forfetario nell’anno stesso.

Tale ultima possibilità era concessa:

  • fino al 31 dicembre 2018 dalla circolare 10E/2016;
  • per il solo anno 2019, quale eccezione prevista dalla circolare 9E/2019 in considerazione della tardiva pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge 145/2018 che aveva modificato il testo di legge.

In senso analogo la risposta ad interpello 123/2019 e la risposta 125/2019.

Si ricorda, infine, che non costituisce causa ostativa la partecipazione in società semplici, tranne nei casi in cui le stesse producano redditi di lavoro autonomo o d’impresa (circolare 9E/2019).

Società di capitali

A differenza delle società di persone, le partecipazioni in società di capitali, precludono l’accesso al regime forfetario solo se, contemporaneamente, sono verificate due condizioni: la prima è che la partecipazione posseduta sia di controllo, diretto o indiretto; la seconda è che l’attività svolta dalla società a responsabilità limitata controllata sia riconducibile a quella svolta dal contribuente che intende applicare il regime forfetario.

Nel caso in cui anche solo una delle due condizioni non sia verificata, la causa ostativa non opera.

Con la circolare 9E/2019 e con numerose risposte a interpelli (tra le altre si segnalano le risposte 120/2019, 137/2019, 162/2019, 169/2019, ecc), l’agenzia delle Entrate ha chiarito che per la verifica del requisito di “controllo”, occorre riferirsi all’articolo 2359 del Codice civile.

Il secondo requisito da verificare al fine di valutare l’operatività della causa ostativa, è quello dello svolgimento, da parte della società, di attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti e professioni.

L’agenzia delle Entrate, nella citata circolare 9E/2019, ha precisato che la “riconducibilità” di una attività ad un’altra si verifica avendo riguardo della sezione Ateco in cui le attività stesse sono ricomprese.

Tuttavia l’incompatibilità si riterrà sussistente qualora la persona fisica che usufruisce del regime forfetario effettui cessioni di beni o prestazioni di servizi tassabili con imposta sostitutiva, alla società a responsabilità limitata direttamente o indirettamente controllata, la quale, a sua volta, deduce dalla propria base imponibile i correlativi componenti negativi di reddito.

Di conseguenza, se le attività svolte appartengono alla medesima categoria, ma la persona fisica non effettua alcuna cessione di beni o prestazione di servizi nei confronti della Srl oppure, nel caso la esegua, i costi dei predetti beni/servizi non siano fiscalmente dedotti, la causa ostativa non opera poiché le attività non saranno ritenute “attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili” .