Attraverso l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis, L.F.) il debitore ha la possibilità di superare lo stato di crisi o di insolvenza. L’accordo di ristrutturazione dei debiti è, quanto alla posizione del debitore in rapporto ai creditori aderenti, un contratto di diritto privato concluso dal debitore con uno o più crediti che rappresentino una maggioranza qualificata dell’ammontare dei crediti (almeno il 60%), che si perfeziona inter partes con il semplice consenso espresso dalle parti ma che deve essere omologato dal Tribunale. I creditori non aderenti non devono essere coinvolti nelle trattative, ma in quanto tali vanno pagati regolarmente ed interamente alle scadenze.
L’omologazione dell’accordo provoca l’irrevocabilità di pagamenti, atti, e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo ai sensi dell’art. 67, co. 3, lett. e), L.F. e l’esenzione dalle sanzioni penali di cui agli artt. 216, co. 3, L.F. (bancarotta per pagamenti eseguiti dal fallito) e 217 L.F. (bancarotta semplice) dei medesimi pagamenti e delle operazioni negoziali ai sensi dell’art. 217-bis L.F.
DIFFERENZE con il CONCORDATO PREVENTIVO – NATURA: le principali differenze tra l’accordo di ristrutturazione e la procedura di concordato preventivo sono:
– assenza di effetti remissivi per i creditori che non aderiscono all’accordo (i creditori non sono costretti ad accettare una falcidia del loro credito);
– inapplicabilità delle regole della par condicio (ci si può accordare con un creditore ipotecario, ove aderente, dilazionandone il pagamento o rinunciando a una parte del credito e, al contrario, pagare integralmente un creditore chirografario estraneo all’accordo);
– struttura preconfezionata dell’accordo (pre-packaged) con i creditori rispetto al deposito dello stesso in Tribunale, laddove nel concordato preventivo il piano proposto dal debitore viene sottoposto all’approvazione dei creditori successivamente al deposito in cancelleria;
– assenza nell’accordo di ristrutturazione di una fase iniziale di ammissibilità giudiziale;
– maggioranza qualificata per l’ammissibilità dell’accordo (60% dell’ammontare complessivo dei crediti) rispetto all’approvazione del concordato (maggioranza semplice);
– assenza del commissario giudiziale e del procedimento ex art. 173 L.F., nonché del Giudice delegato, essendovi solo un giudice relatore;
– assenza del Pubblico Ministero.
Come emerge, l’accordo di ristrutturazione non è propriamente una procedura concorsuale che richiede il rispetto delle regole del concorso dei creditori, perché il rapporto con i creditori aderenti è retto dal principio negoziale, mentre i creditori estranei vanno pagati integralmente.
PRESUPPOSTI e LEGITTIMAZIONE: il presupposto soggettivo per l’ammissione all’accordo di ristrutturazione dei debiti è l’essere impresa commerciale assoggettabile a fallimento, comprese le imprese le società che presentano i requisiti per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e la liquidazione coatta amministrativa. L’art. 23, co. 43, D.L. 98/2011, conv. dalla L. 11/2011, estende, tuttavia, esplicitamente, benché “in attesa di una revisione complessiva della disciplina“, l’accordo di ristrutturazione agli imprenditori agricoli.
Il presupposto oggettivo è lo stato di “crisi” (si veda l’art. 160 L.F.).
La legittimazione spetta al solo debitore. L’organo societario titolato a deliberare l’accesso all’accordo di ristrutturazione è nelle società per azioni (S.p.a.) e nelle società a responsabilità limitata (S.r.l.) il consiglio di amministrazione (nel sistema dualistico il consiglio di sorveglianza). Nelle società di persone ciascun socio disgiuntamente può predisporre il piano, fermo restando che ogni altro socio amministratore può opporsi a tale decisione e che la maggioranza dei soci ha il potere di decidere su tale opposizione.
In presenza di un gruppo di imprese ciascuna società dovrà predisporre il proprio strumento nell’interesse della propria massa di creditori.
PARTI dell’ACCORDO: l’accordo di ristrutturazione dei debiti deve essere sottoscritto dai creditori che rappresentino almeno il 60% dei creditori, siano essi chirografari o privilegiati in base all’importo di cui sono titolari. L’accordo potrebbe essere sottoscritto anche da un solo creditore, a condizione che lo stesso vanti un importo superiore al 60% dell’ammontare complessivo dei debiti. Nella calcolo della percentuale del 60% vanno compresi i creditori privilegiati, dissenzienti, mentre non rientrano i crediti dei creditori anche se soci che hanno erogato finanziamenti alla società in funzione dell’accordo. La maggioranza del 60% dei creditori deve essere calcolata al momento dell’omologazione dell’accordo, trattandosi non di presupposto per l’ammissibilità dell’accordo, ma di condizione per l’omologa (Trib. Milano 23.1.2007).
Si discute se l’accordo sottoscritto con una pluralità di creditori costituisca un unico contratto plurilaterale, oppure se ci si trovi di fronte a una serie di contratti bilaterali indipendenti l’uno dall’altro. La natura di strumento di risoluzione della crisi dell’accordo, che riguarda l’intero ceto creditorio, fa propendere per la natura di contratto plurilaterale, con applicazione delle relative norme del codice civile. Ne consegue che tutti i creditori devono essere a conoscenza o si ritengono tali degli accordi sottoscritti con ciascun altro creditore. Il debitore che voglia utilizzare tale strumento per trovare una soluzione al proprio stato di crisi deve quindi cercare di coinvolgere nelle trattative buona parte dei propri creditori. La ragione che ha indotto il Legislatore a prevedere la necessità di tale maggioranza come presupposto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti risulta evidente: solo negoziando una complessiva riorganizzazione delle posizioni debitorie l’imprenditore sarà in grado di superare la crisi.
L’accordo di ristrutturazione, come si è visto, deve assicurare l’integrale pagamento dei creditori dissenzienti o estranei all’accordo stesso. Ne consegue che nella definizione dei contenuti dell’accordo e nella predisposizione di un piano per il pagamento della maggior parte dei creditori il debitore deve sempre tener conto anche della posizione dei creditori non aderenti, anche se si tratti di crediti litigiosi. Ciò può tradursi nell’accantonamento di somme che dovranno essere destinate al pagamento integrale dei debiti contratti nei confronti dei predetti creditori, ove contestati.
La legge non richiede che le sottoscrizioni dei creditori aderenti siano autenticate, ma la prassi di molti uffici (ad es. Tribunale di Milano) richiede tale adempimento come presupposto di regolarità formale, data la gravità degli effetti che conseguono all’accordo per ciascuno dei creditori.
La normativa, al fine di agevolare il debitore che intenda far ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti, ha previsto che, nei confronti dei creditori dissenzienti o estranei all’accordo, sia possibile una moratoria di 120 giorni, i quali decorrono dalla omologazione per i crediti già scaduti e dalla effettiva scadenza per quelli non scaduti.
Non è stato chiarito se ai creditori estranei spetti anche il pagamento degli interessi per ritardato pagamento, benché la natura di terzi rispetto all’accordo e dell’assenza di voto faccia propendere per la loro corresponsione.
Più difficile è, invece, ipotizzare la corresponsione degli interessi moratori, posto che questi non si applicano alle procedure concorsuali (“debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito”: art. 1, D.Lgs. 231/2002, come sostituito dal D.Lgs. 192/2012); gli interessi che possono essere riconosciuti sono, quindi, quelli al tasso legale.
CONGELAMENTO del PATRIMONIO: con la pubblicazione dell’accordo sul Registro delle Imprese il patrimonio del debitore viene “congelato”, nel senso che dalla data di pubblicazione dell’accordo decorre un termine di 60 giorni durante i quali ai creditori è fatto divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore e di acquisire titoli di prelazione, quali pegni ed ipoteche, se non concordati.
Si tratta propriamente di un’improcedibilità temporanea per effetto della pubblicazione dell’accordo, che deve essere dichiarata in quanto tale dal giudice dell’esecuzione, al pari delle sospensioni “esterne” del titolo esecutivo (art. 623 c.p.c.).
TRANSAZIONE FISCALE e PREVIDENZIALE: il debitore che ricorre all’accordo di ristrutturazione dei debiti può ricorrere alla fattispecie prevista dall’art. 182-ter L.F. (a cui si rimanda per il relativo commento) di proporre una transazione fiscale e previdenziale.
PIANO: all’accordo deve essere allegato un piano, attraverso il quale il debitore propone di uscire dalla crisi. La necessità del piano è richiesta dal rinvio recettizio all’art. 161 L.F., che prevede alla lett. e) del co. 2 il deposito di un “piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”.
Il deposito di un piano appare necessario anche nell’ipotesi in cui l’accordo di ristrutturazione presupponga la liquidazione dell’impresa (Trib. Roma, 20 maggio 2010), posto che le modalità di soddisfacimento dei creditori estranei, nonché degli stessi creditori aderenti, va illustrata non diversamente che nella prospettiva concordataria, allo scopo di individuare la generazione delle risorse che si rendono necessarie per il pagamento sia dei creditori anteriori, sia per finanziare l’operatività della società debitrice in futuro, in quanto la finalità dell’accordo è il risanamento dell’impresa e, quindi, il recupero non solo dell’equilibrio economico, ma anche di quello finanziario.
ATTESTAZIONE del PROFESSIONISTA: all’accordo deve essere allegata la relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F.; l’attestatore deve redigere una relazione con la quale:
– attesta la veridicità dei dati aziendali, con particolare riferimento ai riscontri effettuati per le singole poste, nonché confermando o meno i valori nominali contenuti nella documentazione contabile prodotta;
– l’attuabilità dell’accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge. Anche tale relazione va depositata presso la cancelleria del Tribunale competente.
L’attestazione del professionista è, sotto quest’ultimo aspetto, differente dall’attestazione nel concordato preventivo. Mentre l’esperto nel concordato deve attestare che la proposta assicuri il soddisfacimento dei creditori chirografari almeno nella misura del 20%, nell’accordo, in questo caso l’esperto deve attestare “l’idoneità” del piano “ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei“. Si tratta, pertanto, di una valutazione prospettica ex ante ed evidentemente meno pregnante di quella del concordato preventivo, assimilabile al contenuto di una negative assurance. Nell’accordo, difatti, l’imprenditore non assume obbligazioni nei confronti dei creditori estranei, perché le obbligazioni assunte sono quelle preesistenti all’accordo, salva la moratoria di 120 giorni, né i terzi risultano incisi nei loro diritti contrattuali, ma maturano dalla ristrutturazione del debito con i creditori aderenti una ragionevole aspettativa al loro soddisfacimento integrale, di cui viene data contezza nell’attestazione.
DEPOSITO dell’ACCORDO: il debitore che intende accedere all’accordo di ristrutturazione deve depositare presso la cancelleria del Tribunale competente l’istanza, corredata da:
– un’aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;
– uno stato analitico ed estimativo delle attività;
– un elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;
– un elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
– una perizia di stima del valore dei beni degli eventuali soci illimitatamente responsabili e un elenco dei relativi creditori particolari;
– un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento dell’accordo;
– l’attestazione del professionista relativa alla veridicità dei dati aziendali e alla attuabilità dell’accordo.
La competenza si determina a termini dell’art. 9 L.F. (sede principale dell’impresa), non diversamente che per il fallimento e il concordato preventivo. Benché, difatti, la norma di cui all’art. 182-bis L.F. non preveda una disposizione analoga a quella in tema di concordato preventivo ovvero di procedimento per la dichiarazione di fallimento, deve ritenersi applicabile estensivamente al caso di specie la disposizione già prevista per il concordato dall’art. 161, co. 1, L.F. per il concordato preventivo e dall’art. 9, co. 2, L.F. per la procedura fallimentare, che sterilizza ai fini della competenza il trasferimento avvenuto nell’anno anteriore alla presentazione dell’iniziativa per l’apertura della procedura concorsuale.
Ove il Tribunale si dichiari incompetente e rimetta gli atti ad altro Tribunale, è dal pervenimento nel nuovo ufficio che deve aversi riguardo ai tempi per l’omologazione del concordato, che quindi riprendono a decorrere, ben potendo i creditori proporre opposizione avanti al giudice ad quem.
PUBBLICAZIONE dell’ACCORDO: l’accordo deve essere pubblicato nel Registro delle Imprese. Unitamente all’accordo deve essere pubblicata tutta la documentazione a corredo dell’istanza, per consentire una piena conoscibilità dell’accordo e della documentazione ai creditori. Alla pubblicazione consegue la efficacia dell’accordo nei confronti dei terzi, nonché l’effetto protettivo del blocco delle azioni cautelari ed esecutive. La pubblicazione nel Registro delle Imprese è inoltre condizione di godimento dei benefici fiscali ex art. 88, co. 4, D.P.R. 917/1986. Si osserva che, diversamente, tra le parti l’accordo acquista efficacia dal momento della sua conclusione e indipendentemente dal deposito in cancelleria o dalla sua pubblicazione.
ISTRUTTORIA: per quanto manchi una fase di ammissione e una strutturazione del procedimento, il Giudice relatore o il collegio possono chiedere all’imprenditore tutti i chiarimenti e le integrazioni necessarie (ad es. deposito di bilanci e documentazione contabile, integrazione dell’attestazione, delucidazioni sul piano).
Trascorsi 30 giorni dalla pubblicazione al Registro delle Imprese entro i quali i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione, il Tribunale decide sull’istanza di omologazione con decreto motivato. La deformalizzazione del procedimento esclude la necessità della fissazione di una udienza di omologa.
Il decreto di omologazione costituisce il provvedimento con il quale il Tribunale, verificata la propria competenza, la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell’accordo e la completezza e regolarità della documentazione allegata, omologa l’accordo. L’accertamento condotto dal Tribunale attiene sia ad aspetti di legittimità puramente formale (raggiungimento delle maggioranze, pubblicazione dell’accordo, sottoscrizione dell’accordo, deposito della documentazione, decorso del termine per le opposizioni), sia ad aspetti di legittimità sostanziale, quali la ragionevolezza dell’attestazione rispetto al pagamento dei creditori estranei, la ragionevole possibilità di soddisfacimento dei creditori estranei, l’ipotizzato soddisfacimento degli stessi creditori aderenti. Non rilevano, invece, alterazioni nella graduazione dei creditori aderenti (ad es. creditori ipotecari che si postergano per il buon esito dell’accordo) o valutazioni di merito in ordine alle modalità di esecuzione del piano.
La natura del controllo varia a seconda che i creditori abbiano o meno proposto opposizione all’accordo. Il Tribunale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione, può estendere il controllo alla attuabilità del piano entrando nel merito dello stesso. In questo caso, dovrà essere instaurato un contradditorio con i creditori opponenti, fissando un’udienza in camera di consiglio.
DECRETO di OMOLOGA: il Tribunale delibera con decreto motivato, omologando o meno l’accordo, non potendo modificare i termini ed i contenuti dell’accordo. Contro il decreto che nega l’omologa è possibile presentare reclamo alla Corte d’appello entro 15 giorni decorrenti dalla pubblicazione del decreto nel Registro delle Imprese. In presenza di decreto che nega l’omologazione il Tribunale può dichiarare il fallimento del debitore se è presente un’istanza dei creditori ovvero del Pubblico Ministero.
Con il decreto di omologa il Tribunale dichiara la prededucibilità dei crediti relativi ai finanziamenti bancari erogati prima del deposito della domanda di omologa dell’accordo (si veda l’art. 182-quater, co. 2, L.F.) oppure ratifica la prededucibilità dei finanziamenti erogati nelle more del procedimento (si veda l’art. 182-quinquies, co. 1, L.F.), ove non abbia precedentemente provveduto. I finanziamenti erogati successivamente sono prededucibili per legge senza la necessità di un provvedimento del Tribunale (si veda l’art. 182-quater, co. 1, L.F.). Il decreto di omologa deve essere pubblicato presso il Registro delle Imprese ed ha efficacia dal giorno della sua pubblicazione.
Ai fini fiscali, il decreto di omologa è generalmente soggetto ad imposta di registro in misura fissa (Euro 200); tuttavia se lo stesso costituisce titolo per il trasferimento o la costituzione di diritti reali su beni immobili o altri beni, si applica l’imposta di registro in misura proporzionale.
ESECUZIONE dell’ACCORDO: con il decreto di omologa il debitore deve porre in esecuzione le misure di risanamento, i pagamenti e le attività concordate con i creditori nel piano. La legge non prevede dei controlli da parte del Tribunale in merito al rispetto del piano.
INADEMPIMENTO degli OBBLIGHI ASSUNTI: se il debitore non adempie gli obblighi assunti nei confronti dei creditori aderenti, non è necessario procedere con uno specifico procedimento di risoluzione dell’accordo a differenza del concordato preventivo. Ben possono i creditori aderenti chiedere il fallimento del debitore deducendo l’inadempimento all’accordo come anche i creditori estranei.
PROPOSTA di ACCORDO: i commi 5 e 6 della norma consentono di godere di una protezione anticipata dalle azioni esecutive e cautelari (“congelamento” o “blocco”) anche in epoca precedente il deposito dell’accordo (“divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive”). Si tratta con tutta evidenza di una disposizione che, oramai, si sovrappone al concordato con riserva (art. 161, co. 6, L.F.), perché in entrambi i casi si ottiene un congelamento del patrimonio senza il deposito di un piano concordatario. Inoltre è possibile beneficiare del blocco con la domanda di concordato con riserva anche se successivamente l’imprenditore opti per l’accordo di ristrutturazione (si veda l’art. 161 L.F.).
L’ipotesi prevista dalla norma in commento appare maggiormente complessa e decisamente più macchinosa del concordato con riserva, in quanto l’effetto non consegue automaticamente (ex lege) alla pubblicazione della domanda di concordato con riserva, ma a un provvedimento giudiziale, emanato a seguito di un complesso procedimento, che prevede:
– il deposito presso la cancelleria del Tribunale della documentazione di cui all’art. 161, co. 1 e 2, lett. a), b), c) e d), L.F. (situazione patrimoniale aggiornata, stato analitico delle attività, elenco dei crediti con indicazione delle cause di prelazione, elenco di titolari di diritti reali su beni del debitore, valore dei beni e i creditori degli eventuali soci illimitatamente responsabili);
– l’allegazione di una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti;
– il deposito di una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare (una sorta di attestazione condizionata);
– la pubblicazione dell’istanza di sospensione nel Registro delle Imprese;
– la fissazione di una udienza da parte del Tribunale, previa verifica della completezza della documentazione depositata, a non oltre 30 giorni dal deposito dell’istanza;
– la comunicazione del decreto di fissazione a tutti i creditori unitamente alla “documentazione stessa”, operazione, quest’ultima, che crea evidenti problemi, riguardando una collettività di destinatari, che nei limiti del possibile, possono essere raggiunti con comunicazioni a mezzo Pec.
All’esito del procedimento il Tribunale, ove riscontri “la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare“, dispone con decreto motivato il blocco dalle azioni esecutive, nonché il divieto di acquisire titoli di prelazione. Contestualmente il Tribunale assegna termine di non oltre 60 giorni (o anche un termine minore) per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione dell’esperto.
La norma prevede, ove sia depositato l’accordo, che si applichino le norme previste dall’accordo e l’imprenditore beneficerà, in questo caso, di ulteriori 60 giorni di blocco delle azioni esecutive e cautelari. Analogamente, ove invece dell’accordo sarà depositata una domanda di concordato, gli effetti protettivi sul patrimonio decorreranno dal precedente decreto del Tribunale (“si conservano gli effetti“).
E’ evidente che si tratta di una soluzione protettiva per l’imprenditore del tutto alternativa rispetto al concordato con riserva, che preclude al Tribunale di nominare in questa fase un commissario giudiziale, ma gli consente ugualmente di godere di finanziamenti interinali (si veda l’art. 182-quinquies L.F.).
Tuttavia, la soluzione risulta meno agile dell’oramai concorrente concordato con riserva, in quanto la protezione non è automatica; in più occorre un corposo corredo documentale, oltre che l’incardinazione del contraddittorio con i creditori. Non ultimo, il suddetto procedimento non prevede alcuna proroga del termine per il deposito dell’accordo, a differenza della domanda di concordato con riserva.
RAPPORTI con il PROCEDIMENTO PREFALLIMENTARE: la presentazione di una domanda di accordo di ristrutturazione non comporta, secondo la giurisprudenza di legittimità, la necessaria sospensione del procedimento per la dichiarazione di fallimento (Cass., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 24969). Tuttavia tale soluzione appare distonica ora che la Suprema Corte ha ritenuto che la domanda di concordato con riserva comporti la riunione “impropria” tra il procedimento concordatario (che può sfociare anche in un accordo di ristrutturazione) e il procedimento prefallimentare (Cass., Sezioni Unite, 15 maggio 2015, n. 9936). Deve, pertanto, ritenersi preferibile la soluzione della riunione dei procedimenti e della decisione simultanea che, in caso di omologa, sfocia nel decreto contestuale di omologa dell’accordo e di rigetto della domanda di fallimento (Trib. Milano, 10 novembre 2009) o, al contrario, nel decreto di rigetto dell’omologa e nella sentenza dichiarativa di fallimento.
TRANSAZIONE FISCALE e PREVIDENZIALE (art. 182-ter, L.F.): nella proposta di concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 L.F. e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis L.F. il debitore (imprenditore individuale o società) può proporre il pagamento parziale o dilazionato di propri debiti tributali e previdenziali. Secondo l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, la transazione fiscale è inammissibile se posta in essere fuori dai due casi del concordato preventivo ovvero dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Non è, ad esempio, ammessa la transazione fiscale secondo l’Agenzia delle Entrate in una proposta di concordato fallimentare.
Due sono le ipotesi di accordo:
– uno fiscale con l’Agenzia delle Entrate e gli agenti della riscossione avente ad oggetto i debiti tributari;
– uno previdenziale con gli enti di previdenza ed assistenza avente ad oggetto debiti per contributi obbligatori non versati.
TRANSAZIONE FISCALE nel CONCORDATO: il ricorso alla transazione fiscale è una facoltà del debitore e non un obbligo (Cass., Sez. I, 4 novembre 2011, nn. 22931 – 22932, Circolare Agenzia delle Entrate 6 maggio 2015, n. 19/E). Il debitore può, quindi, optare per la strada della transazione fiscale secondo il disposto della norma in commento, oppure può inserire i crediti fiscali direttamente nella proposta di concordato senza depositare la transazione fiscale (cd. “stralcio”), applicando ai crediti fiscali le regole del concordato. Il vantaggio della transazione fiscale sta nel fatto che con la transazione fiscale il debitore ottiene la corretta e precisa individuazione del debito, del consolidamento del debito e dell’estinzione dei giudizi in corso.
E’ discusso che il consolidamento precluda ogni potere di accertamento successivo, anche perché il termine concesso all’Amministrazione finanziaria (30 giorni) è eccessivamente breve per procedere a controlli di carattere sostanziale, il che non precluderebbe la notificazione di ulteriori avvisi di accertamento o atti di imposizione relativi a somme aggiuntive per circostanze ignote al momento del rilascio della certificazione attestante il consolidamento.
I tributi che possono essere oggetto di transazione fiscale sono tutti quelli di competenza dell’Agenzia delle Entrate ad eccezione di quelli costituenti risorse dell’Unione europea.
Tributi oggetto di transazione: possono formare oggetto di transazione:
– Irpef;
– Ires;
– Irap;
– Ilor (soppressa a decorrere dall’1.1.1998);
– Invim (l’Invim è stata soppressa dall’art. 8, co. 1, L. 448/2001 in relazione ai presupposti che si verificano a decorrere dall’1.1.2002);
– Iva (ammesso solo il pagamento dilazionato);
– ritenute d’acconto e alla fonte non versate (ammesso solo il pagamento dilazionato);
– gli interessi di mora e le indennità legate ad ogni singolo tributo;
– le sanzioni amministrative per violazioni tributarie;
– le imposte emergenti dalle dichiarazioni fiscali ed integrative presentate fino alla data di presentazione della domanda di transazione e non ancora liquidate;
– le imposte emergenti da liquidazione delle dichiarazioni dei redditi e del controllo formale;
– le imposte derivanti da atti di accertamento avvisi di liquidazione, atti di recupero e contestazione ancorché non definitivi;
– crediti tributari iscritti a ruolo;
– i tributi pendenti per liti presso tutti i gradi della giurisdizione tributaria.
In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’Iva ed alle ritenute operate e non versate, la transazione fiscale può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento. Infatti non vi può essere transazione fiscale che preveda il pagamento non integrale dell’Iva e delle ritenute (Cass., Sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931, Corte Cost. 15 luglio 2014, n. 225). Su tale interpretazione impatta la recente sentenza della Corte di Giustizia Ue che, con pronuncia del 7 aprile 2016 nella causa C-546/14, ha affermato che non è contraria alla legislazione dell’Unione Europea – e, in particolare, all’art. 4, paragrafo 3, TUE, nonché agli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (Iva) – una interpretazione dell’art. 182-ter L.F. secondo cui la proposta di concordato possa prevedere il pagamento anche solo parziale del debito dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento. In altri termini, ove il patrimonio dell’impresa non sia sufficiente al pagamento del credito Iva (che gode attualmente del privilegio di cui all’art. 2778, n. 19, c.c.) e questa incapienza risulti dalla relazione ex art. 160, co. 2, L.F., che attesti che nel fallimento il credito non sarebbe trattato in misura migliore (cd. “best interest of creditors test“: si veda l’art. 160 L.F.), l’Iva potrà essere falcidiata. Questa pronuncia della Corte di Giustizia, emessa nell’ambito di un giudizio di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TUE e costituente sentenza interpretativa, si ritiene (per quanto la questione non sia pacifica) che abbia applicazione vincolante anche al di fuori del caso specifico, in quanto “dice” come la norma interna “vive” all’interno dello spazio dell’Unione Europea e degli Stati che vi facciano parte.
La norma non si applica, invece, alle ritenute operate e non versate, per cui, allo stato, solo l’Iva diverrebbe falcidiabile, mentre le ritenute rimangono legate alla mera dilazione.
I tributi locali, quali la Tarsu, l’imposta sulla pubblicità, l’Imu, la Tosap e il diritto sulle pubbliche affissioni, non possono essere oggetto di transazione fiscale perché non sono gestiti dall’Agenzia delle Entrate.
Rateazione di pagamento: la transazione fiscale in caso di temporanea situazione di obiettiva difficoltà può aver ad oggetto la dilazione di pagamento; in tal caso il debitore può chiedere all’Agente della riscossione una rateazione massima di 72 rate mensili, ai sensi dell’art. 19, D.P.R. 602/1973, così come modificato dall’art. 10, D.Lgs. 159/2015, del pagamento delle somme iscritte a ruolo.
Crediti fiscali chirografari: per i crediti tributari di natura chirografaria il debitore nel piano concordatario non può prevedere un trattamento differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, e nel caso di suddivisione in classi, il loro trattamento non può essere differenziato rispetto ai creditori per i quali è previsto il trattamento più favorevole.
Crediti fiscali privilegiati: per i crediti fiscali di natura privilegiata (compresi quelli ipotecari anche se non iscritti a ruolo) la percentuale di pagamento, i tempi di pagamento, e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore oppure a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle Agenzie fiscali. Questa norma pone un doppio limite ai contenuti che possono avere le transazioni fiscali. In primo luogo i crediti fiscali per la parte oggetto di transazione (ad es. interessi e sanzioni) non possono essere trattati in misura deteriore rispetto ad altri crediti privilegiati (es. tributi locali). Ma per procedere a loro falcidia si pone comunque il tema della falcidiabilità di questi crediti, ossia dell’incapienza del patrimonio dell’imprenditore per il soddisfacimento integrale di tali crediti, dimostrabile solo producendo l’attestazione di cui all’art. 160, co. 2, L.F. (si veda l’art. 160 L.F.). Se, difatti, vi fosse capienza nel patrimonio per il pagamento di tali crediti, il loro trattamento non sarebbe falcidiabile e l’attivo concordatario dovrebbe andare a soddisfare prima i creditori privilegiati e poi quelli chirografari.
E’, comunque, opinione diffusa che il principio di disponibilità dell’obbligazione tributaria consente in ogni caso di falcidiare questi crediti indipendentemente dal deposito della relazione ex art. 160, co. 2, L.F. ove si faccia ricorso alla transazione fiscale. Laddove, invece, il debitore opti per la strada opposta dell’inserimento dei crediti tributari nella proposta concordataria senza fare ricorso alla transazione fiscale, è necessario comunque il deposito della relazione ex art. 160, co. 2, L.F. In ogni caso la relazione ex art. 160, co. 2, L.F. torna indispensabile in caso di transazione fiscale nel caso in cui l’Amministrazione non aderisca alla transazione, per cui deve verificarsi l’effettiva graduazione dei crediti nel rispetto delle cause di prelazione.
Domanda di transazione: il debitore che intende accedere alla transazione fiscale dovrà allegare al piano di concordato preventivo, ovvero all’accordo di ristrutturazione dei debiti da depositarsi presso il Tribunale compente a ricevere la domanda di concordato preventivo l’apposita domanda e relativa documentazione che andrà poi presentata all’Agenzia delle Entrate. Appare opportuno che all’atto del deposito della proposta di concordato si produca copia del frontespizio della transazione con la ricevuta di avvenuto deposito. La domanda deve essere redatta in carta semplice in modo analitico ed esauriente e va indirizzata all’Agenzia delle Entrate competente secondo l’ultimo domicilio fiscale, nonché all’Agente delle riscossione. La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 40/E del 18 aprile 2008 ha precisato che la domanda deve contenere:
– la richiesta espressa di accedere alla transazione fiscale;
– le generalità complete del debitore/contribuente che richiede la transazione (denominazione o nome, codice fiscale, rappresentante legale, ecc.);
– gli elementi identificativi della procedura di concordato preventivo (indicazione degli organi giudiziari, dati identificativi del procedimento, decreto di ammissione), se in corso;
– l’illustrazione della proposta di transazione, con indicazione dei tempi, delle modalità e delle garanzie prestate per il pagamento, tenendo conto di tutti gli elementi utili per un giudizio di fattibilità e convenienza della transazione;
– la completa ed esauriente ricostruzione della posizione fiscale del contribuente con la eventuale indicazione dei contenziosi pendenti;
– la descrizione anche sommaria del contenuto del piano di concordato, che comunque viene allegato alla domanda di transazione;
– tutti gli elementi ritenuti utili per favorire l’accoglimento della proposta di transazione.
Il debitore deve inoltre predisporre copia della domanda di transazione fiscale, copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non si è esaurito o non è avvenuto il controllo automatico, nonché copia delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda stessa.
L’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 3/E del 5 gennaio 2009 ha consigliato che, anche se la legge prevede che la domanda di transazione fiscale sia contestuale al deposito presso il Tribunale della domanda di ammissione al concordato preventivo, ma tuttavia tale adempimento può non avvenire necessariamente lo stesso giorno, di rispettare tale termine contestuale al fine di permettere agli uffici finanziari di poter decidere nei successivi 30 giorni.
Procedimento da parte dell’Agenzia delle Entrate: l’Agenzia delle Entrate entro il termine di 30 giorni (termine non perentorio) dalla presentazione della domanda di transazione fiscale effettua la verifica del rispetto dei requisiti posti dalla legge per l’ammissibilità della proposta di transazione, e provvede ai conseguenti adempimenti di controllo e liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, notificando al debitore le relative comunicazioni di irregolarità e gli avvisi di accertamento.
Entro i 30 giorni dalla presentazione della domanda di transazione fiscale l’Agenzia delle Entrate deve predisporre e trasmettere al contribuente una certificazione che attesti il debito tributario complessivo. Come chiarito ai paragrafi 4.2.1. e 5.2 della C.M. 40/E/2008 nella certificazione va indicato anche il debito tributario relativo alle ritenute d’acconto operate e non versate che comunque può essere soltanto oggetto di dilazione e non di riduzione.
Ai fini della certificazione dell’Ufficio deve tener conto:
– degli atti acquisiti anche nei 30 giorni successivi alla presentazione della domanda quali gli avvisi di accertamento notificati, inclusi gli accertamenti parziali per la parte non iscritta a ruolo, i ruoli vistati ma non ancora consegnati all’Agente della riscossione;
– dei ruoli vistati ed eventualmente consegnati all’Agente della riscossione nei 30 giorni successivi alla data di presentazione della domanda di transazione. Vanno escluse le somme iscritte in ruoli già consegnati all’Agente della riscossione ovvero riferite ad avvisi di accertamento emessi ai sensi dell’art. 29, co. 1, D.L. 78/2010, per i quali la riscossione sia già stata affidata in carico all’Agente, alla data di presentazione della proposta da parte del contribuente;
– dei verbali di constatazione a seguito di operazioni di ispezione e verifica e degli inviti al contradditorio inviati al contribuente.
Procedimento da parte dell’Agente della riscossione: anche l’Agente della riscossione effettua la propria attività istruttoria entro 30 giorni dalla data di presentazione della domanda e della relativa documentazione, a conclusione della quale verrà inviata al debitore la certificazione attestante il debito iscritto a ruolo, sospeso o scaduto, ovvero derivante dai predetti avvisi di accertamento, comprensivo di tributi, interessi e sanzioni, degli interessi di cui all’art. 30, D.P.R. 602/1973, nonché la quantificazione delle somme dovute a titolo di aggi, diritti e spese che dovranno essere esposte distintamente. Tale somma deve poi comprendere anche le somme relative alle cartelle di pagamento notificate, per le quali non sia ancora scaduto il termine previsto di legge.
Copia della certificazione viene inviata anche al direttore dell’Agenzia delle Entrate competente.
Decisione sulla proposta di transazione: l’Agenzia delle Entrate competente con atto del direttore decide sull’ammissione o il diniego della transazione per i tributi non iscritti a ruolo o per quelli iscritti ma non ancora consegnati all’Agente della riscossione alla data di presentazione della domanda di transazione.
L’Agente della riscossione decide su indicazione del direttore dell’Agenzia delle Entrate competente sull’ammissione o il diniego della transazione avente ad oggetto i tributi iscritti a ruolo e già consegnati.
L’Agenzia delle Entrate dovrà dare una valutazione di merito sulla proposta di transazione finanziaria ed in particolare dovrà valutare se l’accesso alla transazione possa comportare una migliore soddisfazione del proprio credito tributario a tutela degli interessi dell’erario rispetto ad una procedura fallimentare. Se la proposta di accordo prevede una dilazione di pagamento l’Agenzia delle Entrate dovrà valutare la capacità di pagamento del debitore.
L’Agenzia delle Entrate inoltre valuta la bontà del piano di concordato ovvero l’accordo di ristrutturazione del debito e se il trattamento dei crediti tributari sia o meno inferiore a quello offerto agli altri creditori; infatti in tale ipotesi difficilmente l’Agenzia delle Entrate darebbe parere positivo ad un accordo.
L’Agenzia delle Entrate più volte con proprie circolari ha chiarito e fornito indicazioni pratiche in tema di transazione fiscale a cui si rimanda per un approfondimento (Circolare A.E. 6 maggio 2015, n. 19/E; Circolare A.E. 15 febbraio 2011, n. 4/E; Circolare A.E. 5 agosto 2011, n. 41/E; Circolare A.E. 10 aprile 2009, n. 14/E; Risoluzione A.E. 5 gennaio 2009, n. 3/E; Circolare A.E. 18 aprile 2008, n. 40/E).
TRANSAZIONE PREVIDENZIALE: il debitore può avanzare la proposta di transazione previdenziale agli enti preposti alle forme di previdenza e assistenza obbligatorie (Inps ed Inail). La normativa di riferimento, oltre all’art. 182-ter L.F. è data da normativa secondaria, costituita da circolari Inps che hanno le modalità operative (Circolare Inps 26 febbraio 2010, n. 8; Circolare Inps 15 marzo 2010, n. 38; Circolare Inps 12 agosto 2015, n. 148). La transazione previdenziale può consistere in un pagamento rateale o parziale dei contributi dovuti, come per la transazione fiscale. Il D.M. 4 agosto 2009, all’art. 1, co. 1 prevede che possano essere ricompresi nella proposta di accordo i seguenti crediti per contributi, premi ed accessori di legge:
– i crediti assistiti di privilegio;
– i crediti aventi natura chirografaria;
– i crediti iscritti a ruolo e quelli non ancora iscritti a ruolo.
Non possono essere oggetto di accordo i crediti oggetti di cartolarizzazione ai sensi dell’art. 13, L. 448/1998, e dovuti in esecuzione delle decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato.
Crediti chirografari: per i crediti contributivi di natura chirografaria la legge prevede che nel piano concordatario il loro trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari. Nel caso di suddivisione in classi, il loro trattamento non può essere differenziato rispetto ai creditori per i quali è previsto il trattamento più favorevole. L’art. 3, D.M. 4 agosto 2009 ha precisato i seguenti limiti relativi al trattamento dei crediti chirografari a seconda che la proposta di transazione previdenziale preveda:
– un pagamento parziale: in tal caso la percentuale di pagamento non può essere inferiore al 30%;
– un pagamento dilazionato: in tal caso la proposta può prevedere un massimo di 60 rate mensili, più il pagamento degli interessi al tasso legale.
Crediti privilegiati: il debitore nella proposta di transazione relativamente alla percentuale, ai tempi di pagamento, ed alle eventuali garanzie prestate per i crediti previdenziali privilegiati non può prevedere che gli stessi siano inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. Il citato D.M. 4 agosto 2009 stabilisce espressamente dei limiti al trattamento dei crediti contributivi privilegiati a seconda che la proposta di transazione preveda un pagamento parziale o dilazionato.
Se la proposta prevede un pagamento parziale:
- a) i crediti destinati ad enti, istituti e fondi speciali che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia ai sensi dell’art. 2778, co. 1, n. 1, c.c. devono essere pagati integralmente (100%);
- b) i crediti per premi devono essere pagati integralmente (100%);
- c) i crediti per contributi dovuti a istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale diversi da quelli indicati al punto sub a), ai sensi dell’art. 2778, co. 1, n. 8, c.c. possono essere pagati in una percentuale non inferiore al 40%;
- d) gli accessori dei crediti sub. a) e c), limitatamente al 50% del loro ammontare, ai sensi dell’art. 2778, co. 1, n. 8, c.c. devono essere pagati in una percentuale non inferiore al 40%.
Rateazione di pagamento: se la proposta di transazione prevede una dilazione di pagamento dei crediti privilegiati, essa pò prevedere un massimo di 60 rate mensili e deve essere incluso in più il pagamento degli interessi al tasso legale.
Domanda di transazione: il debitore interessato presenterà alla sede competente degli enti interessati (Inps e Inail) ed all’Agente della riscossione per i debiti iscritti a ruolo una proposta di accordo corredata dalla documentazione prevista dal piano di concordato e una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.
Procedimento: l’Ente previdenziale competente provinciale valuterà la proposta di transazione, con particolare attenzione al rispetto delle procedure e delle norme di legge. Saranno, altresì, valutati il possesso da parte del debitore dei seguenti parametri valutativi previsti dall’art. 4, D.M. 4 agosto 2009:
– il possesso di un attivo di impresa idoneo ad assicurare il soddisfacimento dei crediti, anche mediante prestazione di eventuali garanzie;
– il riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi e la rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sull’esistenza del credito stesso;
– la correttezza dei pagamenti contribuiti e premi dovuti nei periodi successivi alla proposta di accordo e qualora si voglia accedere alla dilazione, il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.
L’accordo di transazione contributiva deve inoltre essere finalizzato alla salvaguardia dei livelli occupazionali nell’ottica della continuità aziendale.
Il mancato rispetto degli obblighi previsti nell’accordo di transazione sarà causa di revoca dell’accordo stesso.
Al termine dell’istruttoria, nella quale l’Ente previdenziale potrà chiedere ulteriori informazioni anche alla competente Agenzie delle Entrate, la documentazione verrà trasmessa alla sede regionale dell’Ente previdenziale, il quale sentita l’avvocatura di Stato, esprimerà il proprio parere. In caso di parere favorevole l’accordo di transazione verrà sottoscritto direttamente dal direttore dell’ufficio provinciale, previa delibera di accoglimento del consiglio di amministrazione dell’ente previdenziale gestore.
VOTAZIONE nell’ADUNANZA dei CREDITORI: all’adunanza dei creditori convocata per la votazione della proposta concordataria esprimono il proprio voto:
– il direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate per i tributi non iscritti a ruolo o non ancora consegnati all’Agente della riscossione alla data della presentazione della domanda;
– il direttore provinciale degli enti gestori di forme previdenziali e di assistenza obbligatoria (Inps e Inail) per i contributi, premi ed accessori di legge non iscritti a ruolo o non ancora consegnati all’Agente della riscossione alla data della presentazione della domanda;
– l’Agente della riscossione per i tributi iscritti a ruolo già consegnati all’ente delle riscossione alla data di presentazione della domanda. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate deve fornire all’Agente della riscossione le indicazioni necessarie per partecipare al voto.
L’approvazione della transazione fiscale deve avvenire espressamente nelle forme previste da tale norma e può intervenire anche successivamente all’adunanza. Tuttavia l’approvazione della transazione ha una doppia valenza, perché ha sia valore di adesione alla transazione, sia valore ai fini dell’approvazione del concordato; nel qual caso il voto dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agente della riscossione deve essere conteggiato unicamente per la quota chirografaria o, comunque, ammessa al voto (in caso di privilegio degradato al chirografo, per la parte del credito non soddisfatta). L’attuale voto espresso nel concordato elimina le questioni che si erano poste circa la possibilità di una adesione per silenzio assenso alla transazione, cosa che non appariva possibile alla luce della struttura della norma.
Se, tuttavia, non vi sarà approvazione della transazione fiscale e, invece, ci sarà raggiungimento delle maggioranze, il concordato risulta approvato ma la non approvazione della transazione incide sulla fattibilità del concordato, quanto meno ai fini del mancato consolidamento del debito fiscale.
In ogni caso, ove l’Agenzia delle Entrate esprime il proprio voto contrario alla proposta concordataria, ma la stessa viene approvata dalla maggioranza dei creditori, sarà possibile per gli uffici finanziari fare opposizione in sede di giudizio di omologa ai sensi dell’art. 180 L.F. (a cui si rimanda per il relativo commento).
TRANSAZIONE FISCALE e ACCORDO di RISTRUTTURAZIONE: rispetto all’ipotesi del concordato preventivo in cui la domanda di transazione viene presentata contemporaneamente al piano di concordato, in caso di transazione fiscale o previdenziale nell’ambito di un accordo di ristrutturazione il debitore può proporre la transazione nella fase che precede la stipula dell’accordo di ristrutturazione.
Nell’accordo di ristrutturazione il debitore è libero di definire con i creditori aderenti e con il fisco il contenuto dell’accordo, in quanto non è vincolato al rispetto del principio della “par condicio creditorum“. Non trovano, pertanto, applicazione le norme relative al miglior trattamento del credito privilegiato e del credito chirografario.
La transazione fiscale è revocata di diritto se il debitore non esegue integralmente entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti.
PREDEDUCIBILITA’ dei CREDITI: attraverso le previsioni degli artt. 182-quater e 182-quinquies L.F. (introdotti rispettivamente dal D.L. 78/2010 e dal D.L. 83/2012) è stata introdotta una disciplina organica dei finanziamenti alle imprese in crisi (ampliata dal D.L. 83/2015), che prevede la possibilità di erogazione di una finanza “protetta” nell’ambito delle procedure concorsuali minori (concordato preventivo e accordo di ristrutturazione), che consente di godere nel successivo fallimento di un trattamento in “anteclasse”, in quanto godono della prededuzione al pari dei crediti funzionali alla procedura fallimentare.
Il Legislatore ha, quindi, inteso affiancare al beneficio della irrevocabilità dei pagamenti effettuati in esecuzione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione (art. 67, co. 3, lett. e), L.F.), che impedisce in sede fallimentare la ripetizione dei pagamenti effettuati nell’ambito delle procedure di risanamento, anche una particolare aspettativa di soddisfazione nel fallimento successivo dei crediti da finanziamento che non siano stati ancora rimborsati, garantendo a tali crediti un trattamento poziore rispetto a tutti gli altri crediti concorsuali.
FINANZIAMENTI in ESECUZIONE del CONCORDATO e dell’ACCORDO: la norma del primo comma riguarda i finanziamenti erogati in esecuzione sia del concordato preventivo omologato sia dell’accordo di ristrutturazione omologato. Pur non esplicitando la norma che i finanziamenti relativi al concordato richiedono l’omologazione, è evidente come si debba trattare di concordati da eseguire e, pertanto, già approvati e omologati.
La norma non richiede che il Tribunale, all’atto dell’omologa dell’accordo come del concordato, dichiari prededucibili questi crediti. L’interpretazione diffusa è, comunque, nel senso che questi crediti siano prededucibili per legge indipendentemente da una valutazione giudiziale, purché il finanziamento sia eseguito in conformità con le modalità previste nel piano.
Ove, invece, il finanziamento non sia stato eseguito in conformità con quanto previsto nel piano, la norma non si applica e resta riservata alla valutazione del curatore del fallimento e del Giudice delegato di tale non conformità, al fine di concedere o meno la prededucibilità al credito, che può essere negata nello stato passivo del fallimento.
FINANZIAMENTI FUNZIONALI: l’art. 182-quater, co. 2, L.F. si riferisce ai finanziamenti erogati “in funzione della domanda di ammissione alla procedura di concordato” o di accordo, sempre che tali finanziamenti siano previsti nel “piano” (cd. finanziamenti “ponte”).
E’ previsto che tali finanziamenti sono “parificati” ai crediti da finanziamenti del primo comma (in esecuzione del piano), ma prevede che “la prededuzione sia espressamente disposta nel decreto del Tribunale che accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo, ovvero che omologa l’accordo“. La norma è di scarsa o nulla applicazione, perché riguarda finanziamenti “ponte”, ossia che siano già stati erogati prima del deposito della domanda di concordato o di accordo, senza che il Tribunale abbia ancora disposto l’apertura del concordato o l’omologa dell’accordo e la conseguente prededucibilità del finanziamento. In questo caso la garanzia della prededuzione è rimessa a un provvedimento successivo non solo all’erogazione, ma anche al deposito della domanda e del piano. Né è previsto uno strumento di impugnazione del decreto del Tribunale da parte del finanziatore (o di altro interessato) nel caso in cui, pur omologandosi l’accordo o il concordato, venga negata natura prededucibile al finanziamento.
La norma non si applica ai finanziamenti erogati prima della domanda di concordato con riserva, perché nel concordato con riserva non è previsto il deposito del piano. A maggior ragione la norma non si applica ai finanziamenti erogati prima del deposito della proposta di concordato ma dopo la domanda di concordato con riserva, in quanto in questo caso si tratta di finanziamenti erogati in costanza di concordato (si veda l’art. 182-quinquies L.F.).
Si osserva che la riforma introdotta dal D.L. 83/2012, conv. con L. 134/2012 ha soppresso il riferimento ai finanziamenti erogato da banche o da intermediari finanziari ed ha stabilito che la prededucibilità viene estesa ai finanziamenti concessi anche da soggetti diversi (terzi).
FINANZIAMENTI dei SOCI: il terzo comma dell’art. 182-quater L.F. prevede che in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. la prededucibilità si applica anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino a concorrenza dell’80% del loro ammontare.
Per la parte eccedente la misura dell’80%, i finanziamenti rimangono assoggettati alle norme ordinarie e devono considerarsi postergati. I soci possono erogare sia finanziamenti in esecuzione del concordato, sia finanziamenti “ponte” prima dell’accesso alla procedura concordataria, in quanto la norma richiama sia il primo, sia il secondo comma dello stesso articolo. Per ragioni analoghe a quelle già indicate, è più verosimile che si tratti di finanziamenti in esecuzione del piano concordatario. Ancora più evidente è tale conclusione ove la prededuzione assiste finanziamenti di soggetti terzi che acquistino la qualità di socio “in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo“, ossia di terzi che assumano la qualità di socio dopo l’omologa del concordato o dell’accordo e in quanto tali finanzino l’impresa. Si tratta di patti parasociali finalizzati all’ingresso nel capitale sociale, in cui l’erogazione finanziaria prededucibile presumibilmente seguirà l’omologazione dell’accordo o del concordato.
DIRITTO di VOTO: viene previsto che con riferimento ai crediti disciplinati dall’art. 182-quater, co. 2, L.F. i creditori sono esclusi dal voto, dal computo delle maggioranze per l’approvazione del concordato ai sensi dell’art. 177 L.F. e dal computo della percentuale dei crediti prevista dall’art. 182-bis, co. 1 e 6, relativo agli accordi di ristrutturazione.
COMPENSI dei PROFESSIONISTI: il D.L. 83/2012, conv. con L. 134/2012 ha abrogato la previsione secondo la quale sono prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione di cui all’art. 161, co. 3, L.F. e l’art. 182-bis, co. 1, L.F.
FINANZIAMENTI “INTERINALI”(art. 182-quinquies, L.F.): la norma riveste un’importanza assoluta nel panorama delle procedure concorsuali, perché riguarda i finanziamenti effettuati in costanza di procedura (concordato o accordo), ai quali viene assicurata, in caso di mancata restituzione, la prededucibilità nel successivo fallimento.
A differenza dei finanziamenti erogati in esecuzione del piano concordatario o dopo l’omologa dell’accordo, i quali sono prededucibili per legge, questi finanziamenti sono prededicibili se e nella misura in cui la prededucibilità venga dichiarata dal Tribunale che, contestualmente, autorizzi l’erogazione del finanziamento.
I finanziamenti che possono godere della prededuzione sono quelli che vengono erogati dopo il deposito di una domanda di concordato preventivo, sia con riserva sia piena (con piano e proposta), sia in pendenza di omologazione di accordo depositato e pubblicato, sia a seguito di una proposta di accordo a termini dell’art. 182-bis, co. 6, L.F.
La domanda può essere contenuta nella domanda di concordato (con riserva o pieno) o di accordo, ma anche con un atto successivo alla domanda (come precisato dal D.L. 83/2015, ma come già avveniva in alcune prassi), posto che le esigenze finanziarie si possono manifestare successivamente.
I finanziamenti che possono essere erogati sono quelli a breve termine, in quanto occorre verificare “il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione“, ossia un tempo che varia tra i 2 mesi in caso di accordo di ristrutturazione e i 12 – 18 mesi in caso di concordato preceduto da una domanda di concordato con riserva (4 più 2 mesi per il preconcordato, oltre 9 più 2 mesi per il concordato).
Non è richiesto, a dispetto della rubrica, che il finanziamento riguardi solamente piani concordatari con continuità aziendale, anche se questa rimane l’ipotesi principale. Pertanto oggetto del finanziamento può essere anche il finanziamento finalizzato al deposito del fondo spese per la procedura concordataria.
Non è richiesto che l’imprenditore indichi espressamente la destinazione dei finanziamenti a differenza di quelli di cui al comma 3 (si veda infra), il che è coerente con la destinazione dei finanziamenti a breve termine che, essendo destinati al finanziamento del capitale di esercizio dell’impresa, non richiedono una stretta correlazione tra prestito erogato (fonte) e investimento (impiego).
Tuttavia appare evidente che, avendo l’impresa perso i mezzi propri e andando il finanziamento a erodere potenzialmente la garanzia dei creditori (il patrimonio dell’impresa), l’imprenditore debba indicare quale sia l’impiego del finanziamento, pur non essendo propriamente il finanziamento un mutuo di scopo.
Elemento fondamentale è dato dalla attestazione del “professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F.” con cui, “verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori”.
All’esperto è rimessa la valutazione, oltre che di verifica del fabbisogno finanziario sino all’omologa della proposta o dell’accordo, soprattutto della funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori. Questa valutazione implica una valutazione comparativa prospettica tra il caso in cui il finanziamento venga erogato e il caso in cui ciò non avvenga. Al professionista è, quindi, rimessa la indicazione di due o più scenari che possono verificarsi nelle varie ipotesi, che consentano di trarre una valutazione comparativa tra la prosecuzione della procedura concorsuale in atto e uno scenario peggiorativo, come potrebbe essere il fallimento. La valutazione è, sostanzialmente, una valutazione di convenienza per il ceto creditorio nel suo complesso rispetto all’alternativa dell’assenza di finanziamento (“best interest of creditors test“). Questa valutazione di convenienza richiede necessariamente l’esistenza di un piano, che nel caso del concordato con riserva manca in radice. Pertanto, l’attestazione del professionista consiste, nella sostanza, in una sorta di pre-attestazione di un piano ancora in bozza, relativamente al quale il finanziamento appare condicio sine qua non e la cui erogazione ne consentirebbe il ragionevole sviluppo e la sua presentazione, che consoliderebbe la maggiore convenienza rispetto agli scenari alternativi.
L’autorizzazione spetta al Tribunale in composizione collegiale e non al giudice monocratico. L’opinione prevalente è nel senso che questa competenza collegiale operi anche successivamente per le proposte di concordato già oggetto di ammissione, in cui gli atti di straordinaria amministrazione sono soggetti ad autorizzazione del Giudice delegato (art. 167, co. 2, L.F.). La ragione sta nel fatto che i finanziamenti costituiscono atti di straordinaria amministrazione a regime speciale, che mantengono la peculiarità indipendentemente dalla fase in cui gli stessi devono essere erogati.
La norma consente di autorizzare i suddetti finanziamenti anche se “individuati per tipologia ed entità, e non ancora oggetto di trattative“. Si tratta di finanziamenti indeterminati, in cui sostanzialmente l’imprenditore si premunisce di una sorta di autorizzazione in bianco da spendere presso finanziatori ancora in fase di negoziazione. Per quanto astrattamente possibile, appare difficile ipotizzare che un esperto possa attestare l’utilità di – e ancor meno che un Tribunale possa autorizzare – un finanziamento, senza che sia noto non solo chi sia il finanziatore, ma soprattutto quali siano le condizioni finanziarie e i tempi di rimborso.
FINANZIAMENTI in VIA di URGENZA – NOVITA’: il D.L. 83/2015, conv. con L. 132/2015, in vigore dal 27 giugno 2015, ha introdotto il nuovo comma 3, il quale prevede che il debitore che presenta una domanda di ammissione al concordato preventivo, anche in assenza del piano ex art. 161, co. 6, L.F., o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, co. 1, L.F. o una proposta di accordo volta ad evitare azioni cautelari o esecutive ex art. 182-bis, co. 6, L.F. può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in via d’urgenza, a contrarre finanziamenti prededucibili, funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale fino alla scadenza del termine fissato dal Tribunale per la presentazione della proposta del piano e della relativa documentazione prescritta o fino all’udienza di omologazione oppure fino al termine di non oltre 60 giorni, stabilito dal Tribunale, per il deposito dell’accordo di ristrutturazione, nel momento in cui dispone il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive.
Si tratta, con tutta evidenza, di una forma di finanziamento urgente che si sovrappone ai finanziamenti interinali di cui al primo comma, visto che anche quelli del primo comma possono essere erogati pendente la fase di concordato con riserva. Si tratta, peraltro, di una forma speciale, alla quale fare ricorso nel caso in cui non vi sia il tempo di ricorrere alla diversa soluzione del finanziamento interinale di cui al primo comma. Lo si comprende dal fatto che questa forma di finanziamento non è assistita dalla attestazione speciale del professionista, che compie una valutazione comparativa tra i vari scenari e verifica il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa.
Data la speciale natura, la norma circonda di cautele questa forma di finanziamento:
– deve trattarsi di finanziamenti a brevissimo termine (il termine concesso per il deposito della proposta o della proposta di accordo e non l’omologa del concordato);
– una espressa destinazione dei finanziamenti, caratteristica comune, nei fatti, anche all’altra ipotesi di finanziamento, con la particolarità che, in assenza dell’attestazione speciale, la specificazione va fatta nell’istanza;
– l’inerenza di questi finanziamenti a “urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale“, che esclude qualsiasi necessità legata direttamente al piano concordatario, che in tale momento non viene neanche prospettato (ad es. compensi professionisti) ma si riferisce a esclusive necessità dell’attività aziendale (ad es. utenze, vigilanza, personale amministrativo ancora in forze, ecc.);
– l’impossibilità di reperimento altrove di tali finanziamenti (ad es. indisponibilità del ceto bancario che induce i soci a determinarsi a sostenere l’impresa nelle more della scadenza del termine;
– l’esistenza di un pregiudizio “imminente e irreparabile all’azienda” (ad es. la chiusura dell’attività produttiva con danneggiamento anche delle strutture produttive).
La natura urgente del finanziamento si traduce in una struttura urgente del procedimento. Il Tribunale può assumere sommarie informazioni, tra cui sono previste il parere obbligatorio del commissario giudiziale (se nominato) e quello facoltativo dei principali creditori (individuati dall’elenco dei creditori depositato unitamente alla domanda di concordato) e provvede entro 10 giorni dal pervenimento dell’istanza (termine ordinatorio). L’autorizzazione comporta la prededuzione dei finanziamenti nel successivo fallimento delle somme erogate nei termini dell’autorizzazione medesima.
Tra questi finanziamenti sono espressamente esclusi quelli indeterminati del secondo comma (che rimanda unicamente a quelli con attestazione).
Tra questi finanziamento urgenti è ricompreso il mantenimento delle linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda. La norma, di per sé, è poco comprensibile, posto che la prosecuzione delle linee di credito in essere, senza mutamento delle stesse (entità degli affidamenti, tipologia della carta commerciale, periodo di regolamento) costituisce atto di ordinaria amministrazione che non necessita di specifica autorizzazione. Per dare un senso a questa norma deve ritenersi che la stessa riguardi la riattivazione di linee di credito precedentemente congelate, oppure la prosecuzione delle stesse secondo modalità differenti in senso peggiorativo per il cliente, ove non vi sia il tempo di procedere con una attestazione speciale dell’esperto a termini del primo comma.
PEGNO o IPOTECA: il terzo comma dell’art. 182-quinquies L.F. stabilisce che il Tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca o a cedere crediti (quest’ultima possibilità è stata introdotta dal D.L. 83/2015, conv. con L. 132/2015) a garanzia dei medesimi finanziamenti.
AUTORIZZAZIONE per PAGARE i CREDITI ANTERIORI: il debitore che presenta una domanda di ammissione al concordato preventivo in continuità anche ai sensi dell’art. 161, co. 6, L.F. può chiedere al Tribunale con apposita istanza di essere autorizzato a pagare crediti anche anteriori per cessioni di beni e prestazioni di servizi che siano essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. La norma non si applica, pertanto, alle proposte di concordato con cessione dei beni.
A tal fine, il debitore deve nominare un professionista indipendente avente i requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), L.F., il quale dovrà depositare in Tribunale un’attestazione che certifichi che i fornitori che il debitore chiede di essere autorizzato a pagare sono, secondo le circostanze, difficilmente sostituibili, che le relative prestazioni sono essenziali per il mantenimento della continuità aziendale e che, sulla base delle informazioni disponibili, il mantenimento della continuità aziendale consentirà ragionevolmente di soddisfare i creditori in misura migliore rispetto alle alternative concretamente praticabili (si vedano, a questo proposito, le “Linee Guida 2015”, nella Raccom. n. 23).
Appare evidente che questa ipotesi, del tutto alternativa ai finanziamenti prededucibili del primo comma, presupponga una valutazione comparativa tra pagamento del creditore e assenza del pagamento. In altri termini la norma richiede che, ancorché ci si trovi nella fase del concordato con riserva, venga depositato un piano concordatario, ancorché meramente abbozzato, che consenta di individuare con ragionevole certezza quale scenario di continuità ha in mente l’imprenditore concordante, che questo piano appaia più conveniente di altri scenari (liquidazione concordataria o fallimentare), che questo scenario si fonda sulla prosecuzione del rapporto commerciale con quel creditore, (essenzialità per la prosecuzione dell’attività di impresa), il cui soddisfacimento è condizione per la prosecuzione del piano come alternativa a scenari peggiorativi (funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori). Si tratta, pertanto, di casi generalmente incompatibili con il concordato con riserva, salvo che l’attestazione dia conto adeguatamente dei suddetti profili.
L’attestazione del professionista non è necessaria quando le risorse finanziarie provengono da nuovi apporti per i quali non c’è l’obbligo di restituzione ovvero provengono da nuovi apporti che generano un obbligo di restituzione postergato (ad es. versamenti a futuro aumento di capitale sociale) a quello dei creditori concorsuali. In entrambi i casi però è necessaria l’autorizzazione del Tribunale.
E’ previsto, inoltre, che per effetto dell’autorizzazione del Tribunale i pagamenti, a prescindere dall’esito della ristrutturazione, sono esenti da revocatoria fallimentare o da conseguenze penali.
RIDUZIONE o PERDITA di CAPITALE (art. 182-sexies, L.F.): l’articolo introdotto con il D.L. 83/2012, conv. con L. 134/2012 introduce una deroga, largamente condivisa in dottrina e nella prassi, per le società che hanno fatto ricorso alle procedure di concordato – sia ordinario che con riserva – ovvero di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F.), in merito agli obblighi di capitalizzazione della società in perdita e della causa di scioglimento per riduzione o perdita di capitale sociale.
Dal giorno in cui l’impresa deposita la domanda di ammissione al concordato preventivo – sia ordinario che con riserva – e fino al giorno dell’omologazione del concordato non si applicano le norme che impongono gli obblighi di riduzione del capitale sociale a seguito di perdite ex artt. 2446, co. 2 e 3, 2447, 2482-bis, co. 4, 5 e 6, c.c., nonché le norme dell’art. 2482-ter c.c. che prevedono come causa di scioglimento della società la riduzione del capitale sociale sotto il limite legale o la perdita del capitale sociale.
Una volta emesso il decreto di omologazione, tale esenzione viene meno, e, quindi, anche se il piano non è stato ancora eseguito, troveranno nuovamente applicazione le suindicate norme del codice civile. Gli amministratori dovranno, in tal caso, presentare all’assemblea una situazione patrimoniale che dovrà tener conto di quanto previsto nel piano concordatario (sopravvenienze attive per riduzione dei debiti, maggior valore di realizzo dei beni sociali, ecc.). Si tratta, pertanto, di una sospensione temporanea degli obblighi di capitalizzazione, che corre di pari passo con la sospensione delle iniziative esecutive dei creditori ex art. 168 L.F.
Quanto agli organi di gestione la norma prevede che per il periodo anteriore alla presentazione della domanda di concordato o della proposta di ristrutturazione dei debiti si applica l’art. 2486 c.c. che prevede che gli amministratori possono gestire la società solo per operazioni conservative dell’integrità e il valore del patrimonio. Questo significa, al contrario, che gli amministratori non hanno responsabilità per il periodo della procedura di concordato e questo si spiega con il fatto che la gestione ordinaria dell’impresa è (o dovrebbe essere) di per sé conservativa, essendo riservata all’autorizzazione del Tribunale o del Giudice delegato l’esecuzione di atti di straordinaria amministrazione che incidono sul patrimonio o sulla par condicio dei creditori. Restano, peraltro, salvi gli obblighi societari degli amministratori, ad es. i termini dell’art. 2446 c.c. in tema di obbligo di convocazione dell’assemblea in caso di perdita del capitale sociale.
ACCORDO di RISTRUTTURAZIONE dei DEBITI o di MORATORIA per DILAZIONE – NOVITA’ (art. 182-septies, L.F.): la norma configura una fattispecie speciale di accordo di ristrutturazione, alla quale si applicano, pertanto, le norme di cui all’art. 182-bis L.F. in tema di legittimazione, requisiti e documentazione a supporto (si veda l’art. 182-bis L.F.), in cui alcuni creditori (unicamente appartenenti al ceto bancario) vengono obbligati con l’omologa dell’accordo ad accettare le condizioni economiche applicate ad altri creditori bancari aderenti all’accordo, al fine di consentire l’esecuzione dell’accordo.
L’importanza di questa norma sta nel fatto che, per il buon esito dell’accordo (sia per i creditori aderenti, sia per quelli non aderenti non bancari e, quindi, per la stragrande maggioranza del ceto creditorio), si sacrificano alcuni creditori del ceto bancario o, più correttamente, questi creditori vengono segregati insieme a creditori bancari aderenti e accettano forzosamente le stesse condizioni dell’accordo dei creditori bancari aderenti rispetto al quale sono terzi (estranei), in deroga alle regole contrattuali secondo cui il contratto ha forza di legge solo tra le parti.
Ulteriormente importante è la circostanza che il Legislatore concorsuale per la prima volta si approccia al tema del finanziamento alle imprese in crisi in pool, in cui viene considerato l’intero gruppo dei finanziatori e non ciascun singolo creditore. Nella prospettiva tradizionale l’approccio è bilaterale (creditore-debitore), in cui si privilegia la posizione di un singolo creditore in funzione dell’intero ceto creditorio. Si pensi al tema dei finanziamenti alle imprese in crisi, in cui a un singolo finanziatore si riconosce l’esenzione da revocatoria (si veda l’art. 67, co. 3, lett. e), L.F. oppure si assicura la prededucibilità del credito da finanziamento non restituito nel successivo fallimento (si vedano gli artt. 182-quater, 182-quinquies L.F.), considerando come strumentale all’interesse della massa il vantaggio competitivo di un singolo creditore. Nel caso della finanza in pool, invece, la tutela della massa dei creditori viene assicurata non da un vantaggio competitivo di un finanziatore, ma dal sacrificio di uno o più creditori finanziari.
PRESUPPOSTI FORMALI: l’indebitamento con banche e intermediari finanziari deve essere pari o superiore alla metà dell’indebitamento complessivo. Per intermediari finanziari si intendono gli intermediari “vigilati” (art. 106 Testo Unico Bancario), quali Sim, Sgr, Sicav, Sicaf, Imel, Istituti di pagamento, Confidi, società di leasing, di factoring, ecc.
Per indebitamento devono ritenersi le obbligazioni pecuniarie. Si pone il problema di considerare quota di indebitamento anche i debiti portati da strumenti finanziari di partecipazione (Sfp) che, pur essendo trattati come capitale (equity), sono rappresentativi di un debito pregresso. Nel qual caso possono considerarsi quote di indebitamento anche quelle sostenute nel corso di precedenti piani attestati o accordi di ristrutturazione non andati a buon fine, dandosi così maggiore impulso alla norma.
I creditori aderenti devono essere complessivamente in ogni caso in misura pari o superiore al 60% dell’ammontare dei crediti come nell’accordo di ristrutturazione. Tra i creditori non aderenti sono compresi anche i creditori bancari non assenzienti, in quanto terzi (estranei all’accordo).
I creditori bancari aderenti devono essere collocati in singole categorie (si veda infra), in ciascuna delle quali, nonché per il loro complessivo ammontare, i creditori bancari aderenti devono essere in misura pari o superiore al 75% di ciascuna categoria.
PRESUPPOSTI SOSTANZIALI: le categorie in cui vanno inseriti i vari creditori finanziari devono avere posizione giuridica e interessi economici omogenei. La norma prevede che una banca o intermediario finanziario può far parte di più di una categoria. La norma ha una importanza cruciale nel funzionamento dell’istituto. Infatti:
- la necessità che la categoria abbia omogeneità di posizione giuridica dei partecipanti comporta che la categoria riflette la struttura giuridica delle fonti finanziarie bancarie dell’impresa. Strumenti autoliquidanti fondati su carta commerciale vanno con autoliquidanti, mutui con mutui, crediti privilegiati con crediti privilegiati, ecc. A questo riguardo, la norma prevede che “non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei 90 giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel Registro delle Imprese“, per evitare che alcuni creditori bancari possano avvantaggiarsi della recente acquisizione di privilegi ipotecari a discapito di altri creditori, magari approfittando dell’avvenuta presa di conoscenza della crisi dell’impresa. Ad es., una banca che ha iscritto una ipoteca giudiziale nei 90 giorni non potrà essere inserita nella categoria omogenea dei crediti bancari garantiti dall’ipoteca giudiziale, ma verrà iscritta nella categoria dei creditori chirografari senza tener conto dell’ipoteca iscritta, e nel caso in cui il 75% dei creditori di tale categoria aderisca all’accordo, sarà tenuta a subire il trattamento previsto dall’accordo alla categoria chirografaria senza poter far valere la garanzia dell’ipoteca giudiziale. Ne consegue che le categorie, dovendo la categoria riflettere la struttura finanziaria dell’impresa, sono obbligatorie, a differenza delle classi nel concordato che sono invece rimesse alla discrezionalità dell’imprenditore;
- la categoria deve contenere anche creditori che abbiano interessi economici omogenei. La questione investe il tema delle garanzie collaterali. Un creditore che goda di ampie garanzie collaterali è più disposto di un altro creditore a un deterioramento del trattamento del credito, posto che ha diverse aspettative di soddisfazione complessiva del credito fondate su garanzie patrimoniali aggiuntive. Non possono, pertanto, essere trattati allo stesso modo creditori che, pur omogenei sul piano giuridico, non lo sono sotto il profilo della diversa posizione in ordine alla aspettativa di soddisfazione del credito in virtù dell’esistenza di garanzie collaterali;
- tutti i creditori della categoria (co. 2) devono essere stati informati dell’avvio delle trattative, devono avere ricevuto complete ed aggiornate informazioni nonché sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative (co. 4);
- i creditori non aderenti devono essere soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili (co. 4). Torna, anche in questo caso, il tema della miglior soddisfazione del creditore (best interest of creditors test). La difficoltà, in questo caso, sta nella difficoltà di prospettare scenari alternativi, che si individuano sostanzialmente nella liquidazione fallimentare.
Tutte tali circostanze, attinenti alla legittimità sostanziale, devono essere oggetto di specifica attestazione da parte dell’esperto, unitamente alla idoneità dell’accordo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei.
OGGETTO dell’ACCORDO: l’accordo con i creditori bancari è a forma libera e può avere qualsiasi oggetto (salve le limitazioni di cui infra). Uno degli oggetti dell’accordo previsto normativamente è la convenzione di moratoria “stand still“, per mezzo della quale il debitore può stipulare con le banche e con gli altri intermediari finanziari un pactum de non petendo per dilazionare il pagamento dei crediti, o una moratoria temporanea dei crediti nei confronti di una o più banche o intermediari finanziari che genera una inesigibilità temporanea dei crediti. Ma l’accordo può avere portata remissoria, o postergativa.
La norma, tuttavia, esclude espressamente dall’oggetto dell’accordo la possibilità che alle banche non aderenti venga imposta l’esecuzione di nuove prestazioni o la concessione di affidamenti o nuovi finanziamenti. Si esclude, inoltre, espressamente dall’accordo anche il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti sia esclusa dall’accordo.
Quest’ultima previsione limita fortemente le possibilità di utilizzo dello strumento, perché la segregazione dei creditori bancari non aderenti viene di fatto limitata alle ipotesi di rientro del debito scaduto (incaglio o sofferenza); se invece il creditore non aderente abbia ancora in essere linee di credito non può utilizzarsi l’art. 182-septies L.F. Fa eccezione la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati, che può comportare la segregazione del creditore finanziario non aderente.
PROCEDIMENTO: il ricorrente, oltre al deposito dell’accordo in cancelleria del Tribunale competente e alla pubblicazione nel Registro delle Imprese (si veda l’art. 182-bis L.F.), deve notificare il ricorso e la documentazione di cui al primo comma dell’art. 182-bis L.F. (accordo, piano, attestazione, situazione patrimoniale aggiornata, stato analitico ed estimativo delle attività, elenco dei titolari di diritti reali, valore dei beni e dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili) ai creditori e agli intermediari finanziari non aderenti. I creditori bancari non aderenti possono proporre opposizione entro 30 giorni dalla notificazione della documentazione. Si verifica, pertanto, una scissione temporale tra il dies a quo per proporre opposizione per i creditori estranei non bancari (trenta giorni dalla pubblicazione presso il Registro delle Imprese o dall’eventuale successivo momento dal quale i documenti sono disponibili in cancelleria) e quello dei creditori non aderenti bancari, che decorre dalla suddetta notificazione.
AUSILIARIO: il Tribunale può disporre la nomina di un ausiliario, essendo evidentemente apparso improprio al Legislatore prevedere la nomina di un commissario giudiziale in un accordo di ristrutturazione. L’ausiliario può essere designato dal Tribunale subito dopo la designazione del relatore o in un momento successivo. L’ausiliario implementa il contributo informativo a disposizione del Tribunale in ordine ai presupposti sostanziali dell’accordo e deve aprire una interlocuzione con il ricorrente e l’attestatore. L’ausiliario deposita una relazione al Tribunale prima dell’omologa dell’accordo.
Non è chiaro quale sia il contenuto della relazione. Il richiamo implicito all’art. 172 L.F. tramite l’ultimo comma della norma (che richiama l’art. 161, co. 5, L.F. che si occupa della trasmissione al Pubblico Ministero della relazione ex art. 172 L.F.) farebbe ritenere che la relazione dell’ausiliario investa tutti i contenuti dell’accordo. Tuttavia i creditori estranei non bancari non sono incisi dall’accordo, né subiscono limitazione alcuna dei loro diritti. Deve, quindi, ritenersi, che il ruolo dell’ausiliario sia quello di valutare i presupposti per la segregazione dei creditori bancari non aderenti.
La natura “innominata” di questo ausiliario, che non viene espressamente denominato commissario giudiziale incide sulle modalità di determinazione del relativo compenso che va liquidato dal Tribunale, posto che appare difficile – ancor più che per il commissario giudiziale nominato durante la fase di concordato con riserva – fare riferimento ai criteri di calcolo del compenso del commissario giudiziale.
RUOLO del PUBBLICO MINISTERO: la particolarità attribuita a questa ipotesi speciale di accordo prevede eccezionalmente che, nel caso in cui il Tribunale abbia nominato l’ausiliario, la relativa relazione va trasmessa al Pubblico Ministero negli stessi termini in cui viene trasmessa al Pubblico Ministero la relazione del commissario giudiziale nel concordato preventivo. Vi è, quindi, una ibridazione tra la procedura di concordato (sulla quale incombe il ruolo del Pubblico) e quella dell’accordo di ristrutturazione (che non prevede alcun ruolo del Pubblico Ministero) nella sola ipotesi in cui il Tribunale abbia nominato un ausiliario.
Soluzione ancora più complicata dal fatto che al Pubblico Ministero non viene comunicato l’accordo ma la sola relazione dell’ausiliario, restando, peraltro, pacifico che il Pubblico Ministero possa richiedere di acquisire ogni ulteriore atto che ritenga utile. Il ruolo del Pubblico Ministero inquadrato negli stessi termini del ruolo attribuito all’ausiliario, ossia quello di tutelare, in una ottica pubblicistica, i creditori bancari dissenzienti.
OMOLOGA: il Tribunale, assunte sommarie informazioni e sentito l’eventuale ausiliario nominato, omologa l’accordo una volta verificati i presupposti dell’accordo di ristrutturazione (si veda l’art. 182-bis L.F.), nonché verificati i presupposti di cui alla norma in commento. Il Tribunale può vagliare di ufficio (quindi indipendentemente dalla proposizione di opposizione), ad es., i criteri di corretta formazione delle categorie, non essendo tali categorie differenti dalle classi del concordato, in cui la verifica della corretta formazione è rimessa al Tribunale officiosamente.
Nel termine di 15 giorni dalla comunicazione, il decreto del Tribunale è reclamabile alla Corte di appello, ai sensi dell’articolo 183 L.F.
EFFETTI dell’ACCORDO: in caso di omologa dell’accordo gli effetti dell’accordo previsti per i creditori bancari aderenti si estendono per legge ai creditori bancari dissenzienti segregati nelle varie categorie in funzione del trattamento previsto in ciascuna categoria “in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c.“.
Benché costoro siano terzi e secondo le regole di diritto comune non potrebbero subire gli effetti di un contratto cui sono rimasti estranei, l’accordo diviene per loro vincolante.
RECLAMO: l’art. 183 L.F. prevede che è possibile impugnare sia il decreto sia l’eventuale sentenza di fallimento emessi all’esito del giudizio di omologazione del concordato o dell’accordo di ristrutturazione davanti alla Corte d’appello. La norma non dà indicazione dei termini per proporre reclamo. Ove l’oggetto del reclamo sia il solo decreto di rigetto dell’omologa devono valere i termini ordinari per l’impugnazione dei procedimenti in camera di consiglio, ossia 10 giorni (art. 739, co. 2, c.p.c.). Ove, invece, vengano impugnati sia la sentenza dichiarativa di fallimento (ove dichiarato), sia il decreto di rigetto dell’omologazione, il reclamo deve essere proposto nel termine di 30 giorni come nel giudizio di reclamo ex art. 18 L.F., non potendo reputarsi che il termine muti a seconda che la sentenza sia o meno pronunciata all’esito del decreto di diniego dell’omologazione del concordato (Cass., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21606). Nel qual caso, il termine per impugnare il decreto della Corte di Appello, ove alla non omologazione abbia fatto seguito il fallimento, sarà ugualmente di 30 giorni.
Ove la Corte di appello riformi il decreto del Tribunale che aveva accolto la domanda di omologazione del concordato e vi sia domanda di fallimento, la Corte deve rimettere gli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento coatta a termini dell’art. 22 L.F.
Qualora la Corte d’appello, invece, riformi il provvedimento di diniego di omologazione di un concordato preventivo reso dal Tribunale e di contestuale dichiarazione di fallimento, si ritiene che anche in questo caso la Corte d’appello rimette gli atti al Tribunale perché adotti le disposizioni esecutive dell’omologa del concordato analogamente a quanto disposto dall’art. 22 L.F. In questo caso il decreto della Corte d’appello non è ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost., atteso che, analogamente al decreto che accolga il reclamo avverso il rigetto dell’istanza di fallimento è provvedimento privo del necessario requisito della definitività, non derivando l’incidenza sui diritti delle parti da tale atto, ma solo dal successivo provvedimento adottato dal Tribunale, nella specie l’omologazione del concordato (Cass., Sez. I, 10 luglio 2014, n. 15859).
OBBLIGATORIETA’ per TUTTI i CREDITORI (art. 184, L.F.): il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel Registro delle Imprese del ricorso alla procedura di concordato preventivo.
La data cui occorre far riferimento per accertare se il credito sia effettivamente antecedente al concordato non è più quella della pronuncia del decreto di apertura della procedura ma quella della pubblicazione del ricorso al Registro delle Imprese.
PAGAMENTO ai CREDITORI: dopo l’omologazione il debitore o il liquidatore giudiziale può pagare i creditori nella misura o secondo le modalità previste dal progetto e dal piano di concordato. L’obbligatorietà del concordato preclude ai creditori le azioni esecutive sul patrimonio del debitore, salvo che il concordato venga risolto (si veda l’art. 186 L.F.). Il principio opera anche per i creditori anteriori che siano rimasti estranei al concordato, in quanto non avvisati dal commissario giudiziale.
I creditori possono, comunque, agire in giudizio davanti al giudice ordinario contro il debitore per ottenere l’accertamento giudiziale del loro credito.
CREDITORI ESTRANEI: il concordato non è obbligatorio per i creditori il cui credito sia successivo alla data di pubblicazione della domanda di concordato. Il loro credito, nato in costanza di procedura, più che prededucibile (come nel fallimento) ossia collocato in anteclasse rispetto ai creditori anteriori, non è soggetto al concordato. Il creditore non subisce alcuna falcidia del proprio credito. Inoltre, oltre a poter chiedere l’accertamento del proprio credito come i crediti concorsuali, può compiere atti di esecuzione nei confronti del proprio debitore e può chiederne il fallimento, cosa che non è possibile per i crediti prededucibili nel fallimento (non esiste il fallimento del fallimento).
SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI: l’ultimo comma dell’art. 184 L.F. prevede che gli effetti del concordato si estendono anche ai soci illimitatamente responsabili salvo patto contrario da stipularsi in sede concordataria tra tutti i creditori ed il socio o i singoli soci.