Il Sole 24 Ore||NORME E TRIBUTI|p. 24|
Le difficoltà di liquidità per le imprese in questi mesi hanno creato danni a cascata su tutta la filiera produttiva, in primis nei rapporti con i fornitori, i primi a subire i mancati pagamenti e gli insoluti: con essi le imprese devono negoziare al fine di garantire la continuità dell’attività con pagamenti veloci o alla consegna a fronte di piani di rientro delle fatture scoperte.
Può tuttavia accadere che le negoziazioni non vadano a buon fine, o che semplicemente non intervengano: l’unica arma per il fornitore al fine di essere ascoltato, dopo essersi rivolto a un legale, è quella di ricorrere per decreto ingiuntivo, chiederne la provvisoria esecutività e – anche parallelamente – depositare istanza di fallimento.
Talvolta queste istanze sono strumentali allo sblocco di una trattativa sui pagamenti pregressi e vengono ritirate a fronte di un incasso più o meno integrale da parte del fornitore.
Per evitare le conseguenze di comportamenti non in buona fede, il governo è intervenuto inizialmente con il decreto Liquidità, disponendo all’articolo 10 l’improcedibilità delle istanze di fallimento sino al 30 giugno 2020. Nella consapevolezza che si tratta di una misura transitoria, e in attesa di comprendere come risolvere la dicotomia tra sopravvenuta impossibilità di adempiere e corretto funzionamento del sistema dei pagamenti, in sede di conversione del decreto Liquidità sono state approvate dalla Camera ulteriori novità.
Tra queste modifiche si segnala l’introduzione nell’articolo 9 di un comma 5-bis, che estende la possibilità per le imprese di depositare una domanda di concessione di termini (il cosiddetto “concordato in bianco”, articolo 161, comma 6 della legge fallimentare) ai fini non solo della presentazione del piano concordatario o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ma anche del perfezionamento di un mero piano attestato in base all’articolo 67 sempre della legge fallimentare e dei relativi accordi sottostanti.
Il debitore che abbia depositato la domanda “in bianco” potrà rinunciare alla procedura concordataria o di omologazione dell’accordo ex articolo 182-bis della legge fallimentare, purché esibisca la ricevuta della pubblicazione al registro delle imprese del piano attestato ex articolo 67.
L’originario percorso “a ipsilon” viene così a evolversi in un “tridente”, consacrando un ulteriore possibile esito della fase preliminare introdotta dalla domanda di concessione dei termini.
Non si tratta di una vera e propria novità, in quanto già oggi il debitore può ritirare il ricorso per concordato in bianco (quantomeno può farlo se non vi siano istanze di fallimento pendenti) e concludere privatamente un accordo sotteso a un piano attestato ex articolo 67: la differenza è che il piano rimane in un cassetto del debitore, mentre il comma 5-bis ne richiede invece il deposito per l’iscrizione al registro delle imprese.
Il legislatore, se da un lato consacra la legittimità di questo uso della domanda “in bianco”, dall’altro introduce un nuovo onere pubblicitario, oggi non previsto.
È ragionevole prevedere che a orientarsi verso questo percorso saranno soggetti alle prese con un’aggressione patrimoniale in corso: vuoi per effetto di decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, vuoi per istanze di fallimento. Si tratta di condizioni esterne all’impresa, che può versare in stato di crisi profonda, ovvero – ed è questo il caso cui fa riferimento il comma 5-bis – trovarsi in una condizione di difficoltà temporanea e meno avanzata rispetto a quelle che optano per il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione.